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Le (molteplici) ragioni d’incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi*
di Marco Ruotolo
Professore ordinario di Diritto costituzionale – Università Roma Tre
Abstract
L’Autore evidenzia le ragioni di incostituzionalità della legge c.d. Fini-Giovanardi, ossia dell’art. 4-bis della legge 21 febbraio 2006, n. 49, di conversione del decreto legge 20 dicembre 2005, n. 232. L’Autore si sofferma, in particolare, sulla totale estraneità delle norme sulle droghe aggiunte in sede di conversione rispetto al decreto legge, avente come precipuo oggetto la copertura delle spese e le esigenze di sicurezza legate allo svolgimento delle Olimpiadi invernali di Torino.
The author points out the reasons of unconstitutionality of the law called Fini-Giovanardi, which converted the Decree-Law of 20 December 2005, n. 232, with particular reference to art. 4-bis, Law of 21 February 2006, n. 49. The author lingers, in particular, on the total lack of involvement of the norms on drugs, added within the conversion, with the discipline contained in the decree-law, which concerns the coverage of expenses and the security requirements related to the Winter Olympics in Turin.
Sommario: 1. Le questioni all’esame della Corte. I vizi di “merito” – 2. Il prioritario e assorbente vizio “formale”: la totale, evidente estraneità, rispetto all’oggetto e alle finalità del decreto-legge, delle norme sulle droghe aggiunte in sede di conversione – 3. Dall’estraneità dei contenuti all’estraneità delle “ragioni” dell’intervento operato in sede di conversione: l’evidente carenza del presupposto del caso di straordinaria necessità ed urgenza – 4. Le benefiche conseguenze dell’auspicata decisione della Corte costituzionale.
1. Le questioni all’esame della Corte. I vizi di “merito”
Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di appello di Roma, terza sezione penale (ord. 28 gennaio 2013, pubblicata su G.U. del 24 aprile 2013, n. 17), dal G.U.P. del Tribunale di Torino (ord. 22 luglio 2013, pubblicata su G.U. del 6 novembre 2013, n. 45) e dalla Corte di Cassazione (ord. 11 giugno 2013, pubblicata su G.U. 24 aprile 2013, n. 44) riguardano l’art. 4-bis e l’art. 4-vicies ter, comma 2, lett. a) e comma 3, lett. a) n. 6, del d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, introdotti dalla legge di conversione 21 febbraio 2006, n. 49, che hanno sostituito, rispettivamente, l’art. 73 del t.u. stupefacenti (d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), parificando ai fini sanzionatori le c.d. droghe leggere e le c.d. droghe pesanti, e gli artt. 13 e 14 del predetto t.u., unificando le tabelle che le identificano, conseguentemente innalzando le pene edittali relativamente alle condotte aventi ad oggetto le sostanze stupefacenti c.d. leggere (si passa dalla previsione della pena della reclusione da 2 a 6 anni e della multa da euro 5.164 ad euro 77.468, a quella della reclusione da 6 a 20 anni e della multa da euro 26.000 a euro 260.000).
Le questioni saranno trattate dalla Corte costituzionale nell’udienza pubblica dell’11 febbraio (questioni sollevate dalla Corte di Cassazione) e nella camera di consiglio del 12 febbraio 2014 (questioni sollevate dalla Corte di appello di Roma e dal G.U.P. del Tribunale di Torino). Ad esse si aggiungano le sopravvenute e non ancora “calendarizzate” questioni di legittimità costituzionale sollevate, nella scia dell’ordinanza della Cassazione, dalla Corte di appello di Lecce (ord. 7 ottobre 2013, pubblicata su G.U. 8 gennaio 2014, n. 2) e dal Tribunale di Vibo Valentina (ord. 5 luglio 2013, ancora non pubblicata su G.U.), nonché, nella scia dell’ordinanza della Corte di appello di Roma, dal Tribunale penale di Viterbo (ord. 8 aprile 2013, che in verità si limita a rinviare alle motivazioni contenute nell’ordinanza della predetta Corte d’appello, “che deve intendersi integralmente riportata e trascritta, perché totalmente condivisa” e che viene allegata al formale atto di rimessione!) e dal Tribunale di Milano, ufficio del G.I.P. (ord. 8 novembre 2013, reperibile in www.penalecontemporaneo.it, che porta ulteriori argomenti a sostegno delle questioni prospettate).
Limiterò la trattazione alle motivazioni addotte nelle ordinanze che hanno posto le questioni che saranno trattate a febbraio dalla Corte costituzionale, sottolineando che in tutte si lamenta la violazione da parte delle norme censurate dell’art. 77, comma 2, Cost. e che solo in alcune di esse si evidenzia la sussistenza anche di vizi di “merito”.
Ci sarebbe molto da dire sul merito della scelta parlamentare, sulla sua irrazionalità, sull’effetto abnorme che ha prodotto sul piano dell’incremento della popolazione carceraria negli ultimi anni. Quando si parla di sovraffollamento carcerario, quando si subiscono condanne importanti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che ritiene il sovraffollamento “problema strutturale e sistemico”, risultante da un “malfunzionamento cronico proprio del sistema penitenziario italiano” (Corte Edu, sent. 8 gennaio 2013, Torreggiani ed altri), si dovrebbe ragionare sulle cause che hanno determinato o contribuito a determinare questa situazione. Ed è stato da moltissimi rilevato che queste cause sono in larga parte da rinvenire in scelte legislative miopi, quali quelle riguardanti l’immigrazione, la recidiva e, appunto, in modo particolarmente significativo, le droghe. Politiche securitarie scellerate accompagnate da politiche sociali inadeguate hanno prodotto il risultato di un carcere sempre più “discarica sociale”.
Per limitarsi alla questione odierna – normativa sulle droghe – come si può tollerare che a comportamenti diversi vengano riconnesse conseguenze eguali? La domanda retorica si traduce in un’istanza giuridicamente definita dalla Corte di appello di Roma nella sua ordinanza di rimessione (e, negli stessi termini, dal G.U.P. del Tribunale di Torino), nella denuncia della violazione del principio costituzionale di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 3 Cost.): “non v’è chi … non veda – scrive il giudice remittente – come sanzionare con la medesima pena due comportamenti notevolmente diversi come l’importare, detenere, spacciare, ecc. droghe c.d. leggere oppure pesanti costituisca una palese violazione del principio di eguaglianza sotto il profilo della mancata adozione di sanzioni diverse in relazione a condotte diverse”. Di più: l’aver equiparato sotto il profilo sanzionatorio le predette sostanze contraddice il contenuto di una decisione quadro del Consiglio dell’UE (n. 2004/757/GAI, art. 4) che espressamente impone un diverso trattamento per le condotte riguardanti “gli stupefacenti più dannosi per la salute”. È un rilievo – ancora una volta proposto dalla Corte d’appello di Roma – che si traduce nella denunciata lesione dell’art. 117, comma 1, Cost., che impone nell’esercizio della potestà legislativa il “rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
2. Il prioritario e assorbente vizio “formale”: la totale, evidente estraneità, rispetto all’oggetto e alle finalità del decreto-legge, delle norme sulle droghe aggiunte in sede di conversione
Ma, prima ancora che le predette questioni di merito, a venire qui in rilievo sono altri vizi che significativamente affettano le disposizioni censurate. Vizi che, dal punto di vista del giudizio di legittimità costituzionale, sono “prioritari” rispetto a quelli prima rappresentati. Le disposizioni censurate sono state infatti introdotte in sede di conversione di un decreto legge mosso dall’intento di fronteggiare le spese e le esigenze di sicurezza delle Olimpiadi invernali di Torino!
Vero è che nel d.l. era compreso un articolo, il 4 appunto, che prevedeva l’abrogazione di disposizioni introdotte nel t.u. stupefacenti (art. 94-bis) dalla legge c.d. ex Cirielli (legge 5 dicembre 2005, n. 251), la quale escludeva dalla applicazione dell’istituto della sospensione dell’esecuzione della pena i recidivi, compresi i tossicodipendenti. Il fine del d.l. era, in questa parte, quello di evitare una “massiva” ricarcerizzazione di condannati tossicodipendenti, trovando l’intervento giustificazione nella “straordinarietà ed urgenza di garantire l’efficacia dei programmi terapeutici di recupero per le tossicodipendenze in caso di recidiva”, così dichiarata nel preambolo. Una giustificazione, quest’ultima, che si raccordava alla seconda parte dell’intitolazione del d.l., denominato “Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero dei tossicodipendenti recidivi”.
Ora, si potrebbe certamente discutere in ordine all’omogeneità di un decreto legge che va a toccare aspetti così diversi quali la sicurezza e il finanziamento di un evento sportivo e il recupero dei tossicodipendenti, ma non v’è dubbio che il testo del d.l., anche quello contenuto nell’art. 4, non si prestava ad un innesto legislativo in sede di conversione tale da implicare una radicale riforma del t.u. stupefacenti (con ben 23 articoli aggiuntivi: dal 4-bis al 4-vicies ter, a loro volta suddivisi in numerosi commi e con relativi allegati!), nel senso peraltro di un inasprimento sanzionatorio per le condotte riguardanti le droghe leggere, tale da produrre l’inevitabile effetto di una maggiore carcerizzazione di tossicodipendenti.
Come ha ben scritto la Cassazione nell’ordinanza di rimessione (nella quale l’unico parametro che si assume violato è l’art. 77, comma 2, Cost.), si registra qui una “profonda distonia di contenuto, di finalità e di ratio tra il decreto-legge n. 272 del 2005 in generale, e anche tra le disposizioni dell’art. 4 in particolare, e le nuove norme introdotte in sede di conversione”. Una “distonia contenutistica e teleologica” che sussiste anche, dunque, con riferimento all’unica disposizione contenuta nel d.l. che aveva un “labile riferimento al tema degli stupefacenti”, atteso che questa non toccava “nemmeno incidentalmente o indirettamente” la questione del trattamento sanzionatorio degli illeciti legati alle droghe, ma, esclusivamente, come si è già detto, aspetti delle modalità di esecuzione della pena per i tossicodipendenti recidivi già condannati. Il che – come ben precisato dalla Cassazione – trovava puntuale riscontro nel titolo dell’art. 4 (“Esecuzione delle pena detentiva per tossicodipendenti in programmi di recupero”), nel preambolo e nella denominazione del d.l.
Proprio l’estraneità delle nuove norme inserite dalla legge di conversione all’oggetto, alle finalità e alla ratio dell’originale contenuto del d.l., ha indotto, dunque, la Corte di Cassazione a sollevare questione di costituzionalità con riferimento all’art. 77, comma 2, Cost. La Cassazione richiama sul punto la giurisprudenza costituzionale che ha rilevato l’incostituzionalità degli emendamenti “estranei” al decreto legge, sulla base della rilevata istituzione, ad opera dell’art. 77, comma 2, Cost., di un “nesso di interrelazione funzionale tra decreto legge … e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario” (v. in particolare sent. n. 22/2012), tra l’altro “contingentato” nel breve termine di sessanta giorni imposto dalla Costituzione. Più prosaicamente: la maggioranza parlamentare non può sfruttare la procedura privilegiata aperta dal Governo attraverso l’uso del decreto legge per inserirvi, in sede di conversione, ciò che vuole! E qui l’ordinanza della Cassazione “anticipa” in qualche modo un orientamento espresso dalla Corte costituzionale in una decisione successiva alla rimessione della questione (sent. n. 220 del 2013), soffermandosi sul fatto che in sede di legge di conversione è stata operata una “riforma organica” del testo unico sugli stupefacenti e che, invece, non si può “approfittare di qualunque, anche marginale ed effimera, ‘emergenza’ per riformare interi settore dell’ordinamento”, utilizzando i decreti legge o la “speciale procedura privilegiata della loro conversione, che al contrario costituisce una fonte funzionalizzata e specializzata” (come peraltro la Corte costituzionale aveva affermato nella sent. n. 22 del 2012 e ribadito nella ord. n. 34 del 2013, puntualmente richiamate). Sul punto si era pure espresso il Comitato per la legislazione con un parere riguardante il disegno di legge di conversione (seduta del 1° febbraio 2006), richiamandosi ad un messaggio del presidente della Repubblica del 29 marzo 2002, formulato in sede di rinvio della legge di conversione di un altro d.l., nel quale si sottolineava “l’esigenza di garantire la specificità e l’omogeneità dei contenuti normativi recati nei provvedimenti di urgenza anche nella fase di esame parlamentare”. Messaggio al quale può ora aggiungersi, fra l’altro, nel medesimo spirito, la lettera del Presidente Napolitano inviata alle Camere il 27 dicembre 2013, riguardante proprio lo svolgimento dell’iter parlamentare di conversione dei decreti legge (nella specie, il c.d. salva Roma, d.l. 31 ottobre 2013, n. 126).
Il punto della totale estraneità, rispetto all’oggetto ed alle finalità del decreto-legge, delle norme aggiunte in sede di conversione con le quali è stata introdotta la nuova disciplina in materia di sostanze stupefacenti mi pare davvero prioritario e assorbente rispetto agli altri. Sinteticamente messo in evidenza dalla Corte d’appello di Roma nella sua ordinanza di rimessione – che si basa, attraverso il richiamo alla sent. n. 22 del 2012 della Corte costituzionale, sul “difetto di coerenza interna tra le norme che costituivano il nucleo originario del provvedimento del governo e quella di cui all’art. 4 bis” introdotto nella legge di conversione – è significativamente sviluppato nell’ordinanza della Cassazione, con un argomento che spero la Corte costituzionale valorizzi anche in vista della individuazione di criteri di giudizio che possano orientare l’esame di questioni riguardanti la decretazione d’urgenza e il regime della legge di conversione.
L’argomento che vorrei sottolineare si traduce in un “indizio” di estraneità del contenuto della legge di conversione rispetto al convertito decreto legge ed è rappresentato dall’intervento della prima sull’intitolazione del secondo. La legge di conversione ha, nella specie, modificato il titolo del d.l. aggiungendovi un nuovo oggetto, tradottosi nell’introduzione delle seguenti parole: “e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309”. Più che un indizio, una prova: la confessione della totale estraneità dell’intervento operato in sede di conversione rispetto al provvedimento governativo!
In altre parole, il perimetro di azione del Parlamento in sede di conversione (la legge di conversione come “fonte funzionalizzata e specializzata”) è definito dai contenuti del decreto legge (i quali si ergono a confine per l’esercizio del potere di conversione), dovendosi l’estraneità rispetto ad essi esser valutata mediante il raffronto tra i relativi disposti. Almeno ove l’estraneità sia evidente, alla stregua di “indici intrinseci ed estrinseci” alle disposizioni censurate (intitolazione dell’articolo nel quale sono contenute gli enunciati oggetto di giudizio, titolo del d.l., preambolo, lavori parlamentari, pareri del Comitato per la legislazione, ecc.), la Corte non può che trarne le inevitabili conseguenze in termini di incostituzionalità delle stesse, dovuta all’abuso (inteso come uso distorto) nell’esercizio del potere di conversione. E nel nostro caso il primo indice di evidente estraneità è dato, appunto, dalla modifica operata in sede di conversione nell’intitolazione del decreto legge, con l’aggiunta di un oggetto non compreso nel provvedimento governativo. La distonia tra i contenuti del decreto legge e delle norme di conversione, già riscontrabile dal raffronto tra esse, è, insomma, resa palese dalla predetta modifica dell’intitolazione del primo, nei termini di una evidente carenza della sussistenza del legame costituzionalmente richiesto tra le due fonti. Ai sensi dell’art. 77, comma 2, Cost., in caso di adozione di un decreto legge le Camere si riuniscono, infatti, per esercitare una funzione ben definita e delimitata (“per la conversione” del provvedimento governativo) e non già per svolgere l’ordinaria funzione legislativa di cui all’art. 70 Cost.
Tollerare ciò, significherebbe permettere un’alterazione del rapporto tra regola (esercizio della funzione legislativa da parte delle Camere) ed eccezione (ricorso alla decretazione d’urgenza), acconsentire ad un radicale mutamento, a Costituzione invariata, della nostra forma di governo (v. Corte cost., sent. n. 171 del 2007, che ha aperto una stagione di controllo assai più penetrante sulla decretazione d’urgenza), spezzando, nella specie, quel nesso di interrelazione funzionale che, come si è già detto, lega il decreto legge e la legge di conversione (come ci ha ricordato, di nuovo, la Corte cost. nella sent. n. 22 del 2012).
3. Dall’estraneità dei contenuti all’estraneità delle “ragioni” dell’intervento operato in sede di conversione: l’evidente carenza del presupposto del caso di straordinaria necessità ed urgenza
La strada è segnata, l’incostituzionalità annunciata dai precedenti della stessa Corte costituzionale. Non c’è proprio spazio, secondo me, per considerare la disposizione di cui all’art. 4 del d.l. come “rampino” cui si potrebbe legittimamente agganciare l’incisiva riforma operata con la legge di conversione. Peraltro, nella denegata ipotesi in cui la Corte dovesse ritenere che il formale aggancio ci sia (che le nuove disposizioni non siano del tutto estranee al contenuto e alle finalità del d.l.), ciò non basterebbe comunque a salvare le norme censurate contenute nella legge di conversione, dovendosi su di esse svolgere il sindacato di sussistenza del requisito di necessità ed urgenza (spunti nelle sentt. nn. 171/2007, 128/2008 ma, più specificamente, sent. n. 355/2010). Tutti i rimettenti lo mettono in evidenza, non solo ricordando come il maxiemendamento introdotto in sede di conversione fosse, per la parte che qui interessa, sostanzialmente riproduttivo di un disegno di legge presentato nel novembre 2003 e fermo nelle competenti commissioni referenti del Senato (A.S. 2593), ma soprattutto evidenziando la estraneità delle nuove norme rispetto alle ragioni di necessità e di urgenza sottese al provvedimento governativo. L’“estraneità” delle nuove norme, qui considerate quanto a “ragioni” dell’intervento, sarebbe ancora dimostrata dall’aggiunta, con la legge di conversione, di un nuovo oggetto nel titolo del decreto legge. Quale urgenza vi era – aggiunge la Corte di appello di Roma – “nel riformare un sistema sanzionatorio in vigore da 16 anni e in ordine al quale nessun evento improvviso, straordinario, poneva l’esigenza di una modifica per decreto”? Tanto più – sottolinea la Corte di cassazione, richiamando un argomento proposto dalla difesa nel giudizio a quo, sia pure non riguardante le norme applicabili nel giudizio di legittimità, dove non si discute sulla sussistenza del reato – che le norme introdotte erano prive di “effettiva e integrale operatività”, dovendosi per essa attendere l’approvazione di un decreto ministeriale (per la determinazione della soglia quantitativa di sostanza stupefacente oltre la quale la detenzione può essere punita). Ancora un’anticipazione di un orientamento che sarebbe stato espresso dalla Corte costituzionale in decisione successiva all’ordinanza di rimessione (sent. n. 220/2013), ma già desumibile dalla sent. n. 22 del 2012
4. Le benefiche conseguenze della auspicata decisione della Corte costituzionale
Quando il potere oltrepassa i limiti costituzionalmente imposti, gli organi di garanzia devono fermarlo o almeno sanzionare gli effetti prodotti dall’abuso. Nella vicenda qui descritta il Presidente della Repubblica non è potuto intervenire, in quanto la legge di conversione, sulla quale il Governo aveva posto questione di fiducia, fu approvata l’8 febbraio 2006, pochi giorni prima dello scioglimento delle Camere e dell’inizio delle Olimpiadi. Il rinvio, a Camere sciolte, nell’imminenza del termine di conversione e dello svolgimento delle Olimpiadi, non era proprio possibile.
Ora spetta alla Corte costituzionale far valere la supremazia della Costituzione.
Non potrà non farlo, permettendo così la reviviscenza delle disposizioni e delle norme del t.u. stupefacenti che sono state sostituite (e quindi abrogate) in tutto o in parte dalle disposizioni e dalle norme censurate contenute nella richiamata legge di conversione. Sul punto non avrei dubbi visto che la Corte ha di recente ribadito che il fenomeno della reviviscenza di norme abrogate, pur non operando in via generale e automatica (e senz’altro nell’ipotesi di abrogazione referendaria), spiega i suoi effetti nel caso di “annullamento di norma espressamente abrogatrice da parte del giudice costituzionale” (sent. n. 13/2012).
Si tornerà così ad applicare il regime sanzionatorio in precedenza stabilito per i reati riguardanti le c.d. droghe leggere: reclusione da 2 a 6 anni e multa da euro 5.164 a euro 77.468, anziché reclusione da 6 a 20 anni e multa da euro 26.000 a euro 260.000. Con un indiretto, benefico, effetto nella ricerca delle soluzioni per fronteggiare il “problema strutturale e sistemico” del sovraffollamento carcerario. Un contributo, dunque, per rispondere anche alla Corte di Strasburgo, per rendere il carcere davvero extrema ratio, in ossequio al principio costituzionale del minore sacrifico necessario della libertà personale, tante volte richiamato proprio nella giurisprudenza costituzionale.
* Intervento al Seminario “Fini-Giovanardi a giudizio”, Camera dei deputati, Roma, 21 gennaio 2014
L’Autore evidenzia le ragioni di incostituzionalità della legge c.d. Fini-Giovanardi, ossia dell’art. 4-bis della legge 21 febbraio 2006, n. 49, di conversione del decreto legge 20 dicembre 2005, n. 232. L’Autore si sofferma, in particolare, sulla totale estraneità delle norme sulle droghe aggiunte in sede di conversione rispetto al decreto legge, avente come precipuo oggetto la copertura delle spese e le esigenze di sicurezza legate allo svolgimento delle Olimpiadi invernali di Torino.
The author points out the reasons of unconstitutionality of the law called Fini-Giovanardi, which converted the Decree-Law of 20 December 2005, n. 232, with particular reference to art. 4-bis, Law of 21 February 2006, n. 49. The author lingers, in particular, on the total lack of involvement of the norms on drugs, added within the conversion, with the discipline contained in the decree-law, which concerns the coverage of expenses and the security requirements related to the Winter Olympics in Turin.
Sommario: 1. Le questioni all’esame della Corte. I vizi di “merito” – 2. Il prioritario e assorbente vizio “formale”: la totale, evidente estraneità, rispetto all’oggetto e alle finalità del decreto-legge, delle norme sulle droghe aggiunte in sede di conversione – 3. Dall’estraneità dei contenuti all’estraneità delle “ragioni” dell’intervento operato in sede di conversione: l’evidente carenza del presupposto del caso di straordinaria necessità ed urgenza – 4. Le benefiche conseguenze dell’auspicata decisione della Corte costituzionale.
1. Le questioni all’esame della Corte. I vizi di “merito”
Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di appello di Roma, terza sezione penale (ord. 28 gennaio 2013, pubblicata su G.U. del 24 aprile 2013, n. 17), dal G.U.P. del Tribunale di Torino (ord. 22 luglio 2013, pubblicata su G.U. del 6 novembre 2013, n. 45) e dalla Corte di Cassazione (ord. 11 giugno 2013, pubblicata su G.U. 24 aprile 2013, n. 44) riguardano l’art. 4-bis e l’art. 4-vicies ter, comma 2, lett. a) e comma 3, lett. a) n. 6, del d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, introdotti dalla legge di conversione 21 febbraio 2006, n. 49, che hanno sostituito, rispettivamente, l’art. 73 del t.u. stupefacenti (d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), parificando ai fini sanzionatori le c.d. droghe leggere e le c.d. droghe pesanti, e gli artt. 13 e 14 del predetto t.u., unificando le tabelle che le identificano, conseguentemente innalzando le pene edittali relativamente alle condotte aventi ad oggetto le sostanze stupefacenti c.d. leggere (si passa dalla previsione della pena della reclusione da 2 a 6 anni e della multa da euro 5.164 ad euro 77.468, a quella della reclusione da 6 a 20 anni e della multa da euro 26.000 a euro 260.000).
Le questioni saranno trattate dalla Corte costituzionale nell’udienza pubblica dell’11 febbraio (questioni sollevate dalla Corte di Cassazione) e nella camera di consiglio del 12 febbraio 2014 (questioni sollevate dalla Corte di appello di Roma e dal G.U.P. del Tribunale di Torino). Ad esse si aggiungano le sopravvenute e non ancora “calendarizzate” questioni di legittimità costituzionale sollevate, nella scia dell’ordinanza della Cassazione, dalla Corte di appello di Lecce (ord. 7 ottobre 2013, pubblicata su G.U. 8 gennaio 2014, n. 2) e dal Tribunale di Vibo Valentina (ord. 5 luglio 2013, ancora non pubblicata su G.U.), nonché, nella scia dell’ordinanza della Corte di appello di Roma, dal Tribunale penale di Viterbo (ord. 8 aprile 2013, che in verità si limita a rinviare alle motivazioni contenute nell’ordinanza della predetta Corte d’appello, “che deve intendersi integralmente riportata e trascritta, perché totalmente condivisa” e che viene allegata al formale atto di rimessione!) e dal Tribunale di Milano, ufficio del G.I.P. (ord. 8 novembre 2013, reperibile in www.penalecontemporaneo.it, che porta ulteriori argomenti a sostegno delle questioni prospettate).
Limiterò la trattazione alle motivazioni addotte nelle ordinanze che hanno posto le questioni che saranno trattate a febbraio dalla Corte costituzionale, sottolineando che in tutte si lamenta la violazione da parte delle norme censurate dell’art. 77, comma 2, Cost. e che solo in alcune di esse si evidenzia la sussistenza anche di vizi di “merito”.
Ci sarebbe molto da dire sul merito della scelta parlamentare, sulla sua irrazionalità, sull’effetto abnorme che ha prodotto sul piano dell’incremento della popolazione carceraria negli ultimi anni. Quando si parla di sovraffollamento carcerario, quando si subiscono condanne importanti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che ritiene il sovraffollamento “problema strutturale e sistemico”, risultante da un “malfunzionamento cronico proprio del sistema penitenziario italiano” (Corte Edu, sent. 8 gennaio 2013, Torreggiani ed altri), si dovrebbe ragionare sulle cause che hanno determinato o contribuito a determinare questa situazione. Ed è stato da moltissimi rilevato che queste cause sono in larga parte da rinvenire in scelte legislative miopi, quali quelle riguardanti l’immigrazione, la recidiva e, appunto, in modo particolarmente significativo, le droghe. Politiche securitarie scellerate accompagnate da politiche sociali inadeguate hanno prodotto il risultato di un carcere sempre più “discarica sociale”.
Per limitarsi alla questione odierna – normativa sulle droghe – come si può tollerare che a comportamenti diversi vengano riconnesse conseguenze eguali? La domanda retorica si traduce in un’istanza giuridicamente definita dalla Corte di appello di Roma nella sua ordinanza di rimessione (e, negli stessi termini, dal G.U.P. del Tribunale di Torino), nella denuncia della violazione del principio costituzionale di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 3 Cost.): “non v’è chi … non veda – scrive il giudice remittente – come sanzionare con la medesima pena due comportamenti notevolmente diversi come l’importare, detenere, spacciare, ecc. droghe c.d. leggere oppure pesanti costituisca una palese violazione del principio di eguaglianza sotto il profilo della mancata adozione di sanzioni diverse in relazione a condotte diverse”. Di più: l’aver equiparato sotto il profilo sanzionatorio le predette sostanze contraddice il contenuto di una decisione quadro del Consiglio dell’UE (n. 2004/757/GAI, art. 4) che espressamente impone un diverso trattamento per le condotte riguardanti “gli stupefacenti più dannosi per la salute”. È un rilievo – ancora una volta proposto dalla Corte d’appello di Roma – che si traduce nella denunciata lesione dell’art. 117, comma 1, Cost., che impone nell’esercizio della potestà legislativa il “rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
2. Il prioritario e assorbente vizio “formale”: la totale, evidente estraneità, rispetto all’oggetto e alle finalità del decreto-legge, delle norme sulle droghe aggiunte in sede di conversione
Ma, prima ancora che le predette questioni di merito, a venire qui in rilievo sono altri vizi che significativamente affettano le disposizioni censurate. Vizi che, dal punto di vista del giudizio di legittimità costituzionale, sono “prioritari” rispetto a quelli prima rappresentati. Le disposizioni censurate sono state infatti introdotte in sede di conversione di un decreto legge mosso dall’intento di fronteggiare le spese e le esigenze di sicurezza delle Olimpiadi invernali di Torino!
Vero è che nel d.l. era compreso un articolo, il 4 appunto, che prevedeva l’abrogazione di disposizioni introdotte nel t.u. stupefacenti (art. 94-bis) dalla legge c.d. ex Cirielli (legge 5 dicembre 2005, n. 251), la quale escludeva dalla applicazione dell’istituto della sospensione dell’esecuzione della pena i recidivi, compresi i tossicodipendenti. Il fine del d.l. era, in questa parte, quello di evitare una “massiva” ricarcerizzazione di condannati tossicodipendenti, trovando l’intervento giustificazione nella “straordinarietà ed urgenza di garantire l’efficacia dei programmi terapeutici di recupero per le tossicodipendenze in caso di recidiva”, così dichiarata nel preambolo. Una giustificazione, quest’ultima, che si raccordava alla seconda parte dell’intitolazione del d.l., denominato “Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero dei tossicodipendenti recidivi”.
Ora, si potrebbe certamente discutere in ordine all’omogeneità di un decreto legge che va a toccare aspetti così diversi quali la sicurezza e il finanziamento di un evento sportivo e il recupero dei tossicodipendenti, ma non v’è dubbio che il testo del d.l., anche quello contenuto nell’art. 4, non si prestava ad un innesto legislativo in sede di conversione tale da implicare una radicale riforma del t.u. stupefacenti (con ben 23 articoli aggiuntivi: dal 4-bis al 4-vicies ter, a loro volta suddivisi in numerosi commi e con relativi allegati!), nel senso peraltro di un inasprimento sanzionatorio per le condotte riguardanti le droghe leggere, tale da produrre l’inevitabile effetto di una maggiore carcerizzazione di tossicodipendenti.
Come ha ben scritto la Cassazione nell’ordinanza di rimessione (nella quale l’unico parametro che si assume violato è l’art. 77, comma 2, Cost.), si registra qui una “profonda distonia di contenuto, di finalità e di ratio tra il decreto-legge n. 272 del 2005 in generale, e anche tra le disposizioni dell’art. 4 in particolare, e le nuove norme introdotte in sede di conversione”. Una “distonia contenutistica e teleologica” che sussiste anche, dunque, con riferimento all’unica disposizione contenuta nel d.l. che aveva un “labile riferimento al tema degli stupefacenti”, atteso che questa non toccava “nemmeno incidentalmente o indirettamente” la questione del trattamento sanzionatorio degli illeciti legati alle droghe, ma, esclusivamente, come si è già detto, aspetti delle modalità di esecuzione della pena per i tossicodipendenti recidivi già condannati. Il che – come ben precisato dalla Cassazione – trovava puntuale riscontro nel titolo dell’art. 4 (“Esecuzione delle pena detentiva per tossicodipendenti in programmi di recupero”), nel preambolo e nella denominazione del d.l.
Proprio l’estraneità delle nuove norme inserite dalla legge di conversione all’oggetto, alle finalità e alla ratio dell’originale contenuto del d.l., ha indotto, dunque, la Corte di Cassazione a sollevare questione di costituzionalità con riferimento all’art. 77, comma 2, Cost. La Cassazione richiama sul punto la giurisprudenza costituzionale che ha rilevato l’incostituzionalità degli emendamenti “estranei” al decreto legge, sulla base della rilevata istituzione, ad opera dell’art. 77, comma 2, Cost., di un “nesso di interrelazione funzionale tra decreto legge … e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario” (v. in particolare sent. n. 22/2012), tra l’altro “contingentato” nel breve termine di sessanta giorni imposto dalla Costituzione. Più prosaicamente: la maggioranza parlamentare non può sfruttare la procedura privilegiata aperta dal Governo attraverso l’uso del decreto legge per inserirvi, in sede di conversione, ciò che vuole! E qui l’ordinanza della Cassazione “anticipa” in qualche modo un orientamento espresso dalla Corte costituzionale in una decisione successiva alla rimessione della questione (sent. n. 220 del 2013), soffermandosi sul fatto che in sede di legge di conversione è stata operata una “riforma organica” del testo unico sugli stupefacenti e che, invece, non si può “approfittare di qualunque, anche marginale ed effimera, ‘emergenza’ per riformare interi settore dell’ordinamento”, utilizzando i decreti legge o la “speciale procedura privilegiata della loro conversione, che al contrario costituisce una fonte funzionalizzata e specializzata” (come peraltro la Corte costituzionale aveva affermato nella sent. n. 22 del 2012 e ribadito nella ord. n. 34 del 2013, puntualmente richiamate). Sul punto si era pure espresso il Comitato per la legislazione con un parere riguardante il disegno di legge di conversione (seduta del 1° febbraio 2006), richiamandosi ad un messaggio del presidente della Repubblica del 29 marzo 2002, formulato in sede di rinvio della legge di conversione di un altro d.l., nel quale si sottolineava “l’esigenza di garantire la specificità e l’omogeneità dei contenuti normativi recati nei provvedimenti di urgenza anche nella fase di esame parlamentare”. Messaggio al quale può ora aggiungersi, fra l’altro, nel medesimo spirito, la lettera del Presidente Napolitano inviata alle Camere il 27 dicembre 2013, riguardante proprio lo svolgimento dell’iter parlamentare di conversione dei decreti legge (nella specie, il c.d. salva Roma, d.l. 31 ottobre 2013, n. 126).
Il punto della totale estraneità, rispetto all’oggetto ed alle finalità del decreto-legge, delle norme aggiunte in sede di conversione con le quali è stata introdotta la nuova disciplina in materia di sostanze stupefacenti mi pare davvero prioritario e assorbente rispetto agli altri. Sinteticamente messo in evidenza dalla Corte d’appello di Roma nella sua ordinanza di rimessione – che si basa, attraverso il richiamo alla sent. n. 22 del 2012 della Corte costituzionale, sul “difetto di coerenza interna tra le norme che costituivano il nucleo originario del provvedimento del governo e quella di cui all’art. 4 bis” introdotto nella legge di conversione – è significativamente sviluppato nell’ordinanza della Cassazione, con un argomento che spero la Corte costituzionale valorizzi anche in vista della individuazione di criteri di giudizio che possano orientare l’esame di questioni riguardanti la decretazione d’urgenza e il regime della legge di conversione.
L’argomento che vorrei sottolineare si traduce in un “indizio” di estraneità del contenuto della legge di conversione rispetto al convertito decreto legge ed è rappresentato dall’intervento della prima sull’intitolazione del secondo. La legge di conversione ha, nella specie, modificato il titolo del d.l. aggiungendovi un nuovo oggetto, tradottosi nell’introduzione delle seguenti parole: “e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309”. Più che un indizio, una prova: la confessione della totale estraneità dell’intervento operato in sede di conversione rispetto al provvedimento governativo!
In altre parole, il perimetro di azione del Parlamento in sede di conversione (la legge di conversione come “fonte funzionalizzata e specializzata”) è definito dai contenuti del decreto legge (i quali si ergono a confine per l’esercizio del potere di conversione), dovendosi l’estraneità rispetto ad essi esser valutata mediante il raffronto tra i relativi disposti. Almeno ove l’estraneità sia evidente, alla stregua di “indici intrinseci ed estrinseci” alle disposizioni censurate (intitolazione dell’articolo nel quale sono contenute gli enunciati oggetto di giudizio, titolo del d.l., preambolo, lavori parlamentari, pareri del Comitato per la legislazione, ecc.), la Corte non può che trarne le inevitabili conseguenze in termini di incostituzionalità delle stesse, dovuta all’abuso (inteso come uso distorto) nell’esercizio del potere di conversione. E nel nostro caso il primo indice di evidente estraneità è dato, appunto, dalla modifica operata in sede di conversione nell’intitolazione del decreto legge, con l’aggiunta di un oggetto non compreso nel provvedimento governativo. La distonia tra i contenuti del decreto legge e delle norme di conversione, già riscontrabile dal raffronto tra esse, è, insomma, resa palese dalla predetta modifica dell’intitolazione del primo, nei termini di una evidente carenza della sussistenza del legame costituzionalmente richiesto tra le due fonti. Ai sensi dell’art. 77, comma 2, Cost., in caso di adozione di un decreto legge le Camere si riuniscono, infatti, per esercitare una funzione ben definita e delimitata (“per la conversione” del provvedimento governativo) e non già per svolgere l’ordinaria funzione legislativa di cui all’art. 70 Cost.
Tollerare ciò, significherebbe permettere un’alterazione del rapporto tra regola (esercizio della funzione legislativa da parte delle Camere) ed eccezione (ricorso alla decretazione d’urgenza), acconsentire ad un radicale mutamento, a Costituzione invariata, della nostra forma di governo (v. Corte cost., sent. n. 171 del 2007, che ha aperto una stagione di controllo assai più penetrante sulla decretazione d’urgenza), spezzando, nella specie, quel nesso di interrelazione funzionale che, come si è già detto, lega il decreto legge e la legge di conversione (come ci ha ricordato, di nuovo, la Corte cost. nella sent. n. 22 del 2012).
3. Dall’estraneità dei contenuti all’estraneità delle “ragioni” dell’intervento operato in sede di conversione: l’evidente carenza del presupposto del caso di straordinaria necessità ed urgenza
La strada è segnata, l’incostituzionalità annunciata dai precedenti della stessa Corte costituzionale. Non c’è proprio spazio, secondo me, per considerare la disposizione di cui all’art. 4 del d.l. come “rampino” cui si potrebbe legittimamente agganciare l’incisiva riforma operata con la legge di conversione. Peraltro, nella denegata ipotesi in cui la Corte dovesse ritenere che il formale aggancio ci sia (che le nuove disposizioni non siano del tutto estranee al contenuto e alle finalità del d.l.), ciò non basterebbe comunque a salvare le norme censurate contenute nella legge di conversione, dovendosi su di esse svolgere il sindacato di sussistenza del requisito di necessità ed urgenza (spunti nelle sentt. nn. 171/2007, 128/2008 ma, più specificamente, sent. n. 355/2010). Tutti i rimettenti lo mettono in evidenza, non solo ricordando come il maxiemendamento introdotto in sede di conversione fosse, per la parte che qui interessa, sostanzialmente riproduttivo di un disegno di legge presentato nel novembre 2003 e fermo nelle competenti commissioni referenti del Senato (A.S. 2593), ma soprattutto evidenziando la estraneità delle nuove norme rispetto alle ragioni di necessità e di urgenza sottese al provvedimento governativo. L’“estraneità” delle nuove norme, qui considerate quanto a “ragioni” dell’intervento, sarebbe ancora dimostrata dall’aggiunta, con la legge di conversione, di un nuovo oggetto nel titolo del decreto legge. Quale urgenza vi era – aggiunge la Corte di appello di Roma – “nel riformare un sistema sanzionatorio in vigore da 16 anni e in ordine al quale nessun evento improvviso, straordinario, poneva l’esigenza di una modifica per decreto”? Tanto più – sottolinea la Corte di cassazione, richiamando un argomento proposto dalla difesa nel giudizio a quo, sia pure non riguardante le norme applicabili nel giudizio di legittimità, dove non si discute sulla sussistenza del reato – che le norme introdotte erano prive di “effettiva e integrale operatività”, dovendosi per essa attendere l’approvazione di un decreto ministeriale (per la determinazione della soglia quantitativa di sostanza stupefacente oltre la quale la detenzione può essere punita). Ancora un’anticipazione di un orientamento che sarebbe stato espresso dalla Corte costituzionale in decisione successiva all’ordinanza di rimessione (sent. n. 220/2013), ma già desumibile dalla sent. n. 22 del 2012
4. Le benefiche conseguenze della auspicata decisione della Corte costituzionale
Quando il potere oltrepassa i limiti costituzionalmente imposti, gli organi di garanzia devono fermarlo o almeno sanzionare gli effetti prodotti dall’abuso. Nella vicenda qui descritta il Presidente della Repubblica non è potuto intervenire, in quanto la legge di conversione, sulla quale il Governo aveva posto questione di fiducia, fu approvata l’8 febbraio 2006, pochi giorni prima dello scioglimento delle Camere e dell’inizio delle Olimpiadi. Il rinvio, a Camere sciolte, nell’imminenza del termine di conversione e dello svolgimento delle Olimpiadi, non era proprio possibile.
Ora spetta alla Corte costituzionale far valere la supremazia della Costituzione.
Non potrà non farlo, permettendo così la reviviscenza delle disposizioni e delle norme del t.u. stupefacenti che sono state sostituite (e quindi abrogate) in tutto o in parte dalle disposizioni e dalle norme censurate contenute nella richiamata legge di conversione. Sul punto non avrei dubbi visto che la Corte ha di recente ribadito che il fenomeno della reviviscenza di norme abrogate, pur non operando in via generale e automatica (e senz’altro nell’ipotesi di abrogazione referendaria), spiega i suoi effetti nel caso di “annullamento di norma espressamente abrogatrice da parte del giudice costituzionale” (sent. n. 13/2012).
Si tornerà così ad applicare il regime sanzionatorio in precedenza stabilito per i reati riguardanti le c.d. droghe leggere: reclusione da 2 a 6 anni e multa da euro 5.164 a euro 77.468, anziché reclusione da 6 a 20 anni e multa da euro 26.000 a euro 260.000. Con un indiretto, benefico, effetto nella ricerca delle soluzioni per fronteggiare il “problema strutturale e sistemico” del sovraffollamento carcerario. Un contributo, dunque, per rispondere anche alla Corte di Strasburgo, per rendere il carcere davvero extrema ratio, in ossequio al principio costituzionale del minore sacrifico necessario della libertà personale, tante volte richiamato proprio nella giurisprudenza costituzionale.
* Intervento al Seminario “Fini-Giovanardi a giudizio”, Camera dei deputati, Roma, 21 gennaio 2014