Susanna Ronconi e Grazia Zuffa
La prigione delle donne
Idee e pratiche per i diritti
Ediesse, Roma, 2020
Pagine: 206 p., Brossura
EAN: 9788823022447
Il libro prende spunto da un progetto di ricerca azione (Women in Transition – WIT) nelle sezioni femminili di due carceri della Toscana. Si è scelto di dare voce alle donne detenute, lavorando sui vissuti sì da ricostruire il filo dell’identità dentro/fuori del carcere. Sono stati individuati i meccanismi di inutile «sofferenza aggiuntiva» della quotidianità del carcere che più colpiscono le donne, oltre il dettato istituzionale della pena come sola privazione della libertà: cercando di scoprire le strategie per contrastarli, attraverso un confronto che ha coinvolto anche le operatrici e gli operatori. Da questa esplorazione della soggettività femminile hanno preso avvio i «laboratori» di self empowerment, mirati a valorizzare gli elementi di «forza» che le donne possono trovare in sé per fronteggiare lo scacco della detenzione; e chiamando il contesto sociale a «fare la sua parte» e mettere in campo risorse per poter guardare oltre il carcere. Il progetto WIT ha suggerito piste di approfondimento che il libro raccoglie: la questione della sessualità e dell’affettività dentro le mura, dall’ottica della differenza femminile; la riformabilità o meno del carcere, vista dal «paradosso» delle pratiche di empowerment in una istituzione totale. Per arrivare al quesito ultimo: quale carcere e quale pena per le donne? Prefazione di Tamar Pitch.
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Dalla prefazione di Tamar Pitch:
Susanna Ronconi e Grazia Zuffa proseguono con questo libro la loro ricerca sul carcere femminile, iniziata con Recluse. Come si sa, sono poche in Italia le ricerche sulla detenzione femminile e dunque questi sono testi molto preziosi, sia per la ricchezza delle testimonianze che per l’accuratezza e la profondità delle riflessioni delle autrici. Direi anzi che sono libri imprescindibili per comprendere l’intero universo carcerario italiano, poiché l’ottica prescelta, quella della differenza femminile e del partire da sé, consente di tracciare non solo i vissuti delle detenute, ma anche, attraverso di essi, le criticità dell’intero sistema penitenziario italiano, in linea di principio volto alla “risocializzazione”, ma in realtà, e nel migliore dei casi, piegato ad una “rieducazione” intesa come adeguamento alle norme esplicite, e ancor di più a quelle implicite, del sistema stesso, centrato sulla sicurezza. A cui risocializzazione, rieducazione e, dunque, tutela dei diritti delle e dei detenuti, devono per forza piegarsi.
Deresponsabilizzazione, infantilizzazione e, soprattutto nel caso delle donne, patologizzazione del disagio espresso, nonché subordinazione di ogni esigenza e richiesta all’ordine che deve regnare in ogni istituto, traducono i diritti in benefici e privilegi concessi sulla base della conformità per un verso alle regole interne, per altro verso –di nuovo, soprattutto per le donne—agli stereotipi della maschilità e della femminilità tradizionali.
Ciò che apre ad un discorso di fondo: il carcere è riformabile? E’ possibile un carcere che “risocializzi” o “rieduchi”? …Si possono fare carceri migliori di quelle esistenti oggi in Italia, meno affollate, meno afflittive, con più e migliori servizi. Ma, di fondo, il carcere non è e non può essere un luogo di rieducazione o ancor meno di risocializzazione.
E tuttavia, nel senso comune, il carcere è dato per scontato, in qualche modo “naturalizzato”, se ne ignora la storia, si pensa che sia sempre esistito. Di questa pena si contestano al massimo gli eccessi afflittivi, le torture da parte della polizia penitenziaria quando vengono allo scoperto, il sovraffollamento e i disagi che ne derivano: ma della necessità della sua esistenza non si dubita, tanto che come rimedio viene semmai proposta la costruzione di nuove carceri.
Eppure, cominciando proprio dalle donne detenute, una decisa decarcerizzazione sarebbe, oltre che desiderabile, del tutto possibile. In carcere solitamente per reati non particolarmente gravi, molte con condanne inferiori ai tre anni, considerate anche dall’opinione pubblica non “pericolose” quanto gli uomini, e poche, sempre rispetto alla popolazione carceraria maschile, che senso ha, oltre quello vendicativo, tenerle rinchiuse? Accompagnata, la decarcerizzazione, ovviamente, da una altrettanto decisa depenalizzazione, cominciando da quella delle cosiddette “droghe”, il cui proibizionismo è tra le cause maggiori di detenzione, sia per le donne che per gli uomini.