BASTA DISCRIMINAZIONI: VACCINIAMO SUBITO I DETENUTI E LE DETENUTE E CHI LAVORA IN CARCERE!
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Siamo tutti reclusi in questo anno di pandemia, ma c’è chi è più prigioniero di altri, più esposto a rischi, più abbandonato di tutti. In questi mesi i detenuti stanno vivendo la più dura delle carcerazioni, impediti in gran parte delle attività e dei contatti con l’esterno, finanche con i familiari che, quando va bene, possono vedere di persona, una volta al mese e separati da una barriera di plexiglas. Unico conforto: il telefono. Il tutto per misure di prevenzione giustificate dal fatto che le carceri sono comunità chiuse, in cui convivono centinaia, se non migliaia di persone, in spazi insufficienti e con scarse condizioni igieniche; in cui è impensabile seguire le indicazioni di prevenzione e distanziamento fisico. Se le persone sono rinchiuse, il carcere è però un “luogo aperto”, purtroppo anche al contagio, dove ogni giorno entrano ed escono molti addetti.
Appare drammaticamente evidente che le prigioni rappresentano uno dei posti a più alto rischio di rapida diffusione del virus in caso di contagio. Anche all’esterno.
Non a caso il Comitato Nazionale per la Bioetica (nel parere “Covid-19: salute pubblica, libertà individuale, responsabilità sociale”, maggio 2020), definisce le carceri come “situazione particolarmente critica”, anche perché “critiche sono le condizioni di partenza” e inserisce le persone rinchiuse tra i “gruppi più vulnerabili” al contagio, assieme agli anziani confinati nelle RSA.
Ma se le carceri sono come le RSA e i detenuti rappresentano un gruppo “ad alta vulnerabilità bio-psico-sociale”, come mai non sono stati inseriti tra le categorie prioritarie della campagna vaccinale contro il Covid-19, a differenza degli ospiti delle RSA? Se negli istituti di pena l’età media è più bassa, le condizioni igienico-sanitarie sono certamente peggiori, e vi è ampia diffusione di patologie pregresse? Anche a loro va garantito loro il diritto alle pari opportunità nella tutela della salute, oltre ogni timore di reazioni forcaiole.
Nonostante i dati ci dicono che solo l’asintomaticità sta, per il momento, limitando il numero delle vittime, davanti alla ricerca del consenso, neppure l’appello dell’Unione Camere Penali, l’interrogazione della senatrice a vita Liliana Segre o il richiamo del portavoce della Conferenza dei Garanti territoriali, Anastasia, sembrano bastare.
Eppure nelle circa 200 carceri italiane vivono e lavorano più di 100.000 persone; oltre a detenuti e detenute, anche operatori di polizia penitenziaria, personale socio-sanitario, amministrativo e di direzione. Persone non solo quotidianamente a rischio personale, ma anche potenziali diffusori del virus al di fuori.
COSA PUOI FARE TU
Chiediamo al ministro della Salute e al Commissario straordinario per l’emergenza Covid, di rispettare le indicazioni fornite dal Comitato Nazionale per la Bioetica. Chiediamo che i detenuti, gli operatori penitenziari e tutti coloro che svolgono attività lavorative ed educative in carcere, vengano inseriti tra le categorie prioritarie nella vaccinazione contro il Covid 19, al pari degli altri ospiti e degli altri operatori di comunità chiuse.
Unisciti a noi per mettere fine a questa palese discriminazione nei confronti di soggetti ugualmente vulnerabili, la cui salute è totalmente nelle mani delle istituzioni che li custodiscono.
È ora di porre rimedio verso una “dimenticanza”, che rischia di apparire agli occhi di detenuti e delle loro famiglie solo come una pena aggiuntiva.