Articolo di Katia Poneti
A partire dal recente proscioglimento della Corte d’Assise di Brescia, che considera l’omicida incapace di intendere e di volere in quanto in preda a “delirio di gelosia”, si possono fare alcune considerazioni (che ovviamente si basano sulle notizie di stampa e che potranno trovare uno spessore più adeguato solo con il deposito delle motivazioni della sentenza).
Innanzitutto, la decisione, che riguarda il caso dell’uomo 80 enne che ha ucciso la moglie a coltellate dopo averla tramortita con un mattarello, e che pare sia arrivato a commettere il gesto perché spinto dai pensieri ricorrenti di un ipotetico tradimento da parte di lei anni prima. Il fatto è stato commesso circa un anno fa e nel frattempo l’uomo è stato in carcere in custodia cautelare.
Per come se ne è parlato sulla stampa, la Corte sembra aver giudicato a partire da una distinzione operata all’interno della condizione di gelosia che sfocia nel delitto e che può dar luogo, in astratto, a due situazioni:
1) da una parte la gelosia come condizione psicologica che spinge a commettere il delitto e che diviene il movente di un reato di femminicidio: la condizione di gelosia è inquadrata in questo caso nel contesto della riconosciuta capacità di intendere e volere e può essere considerata come un’aggravante del reato di omicidio, qualificato appunto “femminicidio” in quanto commesso a danno di una donna e caratterizzato dall’approccio patriarcale alla vittima; del sentimento di gelosia, che trova la sua base nella psiche della persona, è anche riconosciuta la base culturale di matrice patriarcale, talmente radicata che dà legittimità alla violazione delle norme morali e giuridiche a protezione della vita umana;
2) dall’altra parte la condizione di gelosia come “delirio di gelosia”, quindi come stato patologico psichiatrico che affligge l’autore del fatto-reato a tal punto da escluderne la capacità di intendere e volere e quindi l’imputabilità, con la conseguenza del proscioglimento per vizio totale di mente e l’applicazione della misura di sicurezza della REMS.
Un secondo punto da sottolineare è che sembra che tale distinzione tra gelosia come movente e gelosia come forma patologica, il “delirio di gelosia”, derivi da valutazioni espresse nelle perizie psichiatriche, e da queste sia stata presa per essere utilizzata come base decisionale dalla Corte d’Assise. Sarà quindi interessante poter leggere e confrontare le argomentazioni espresse per capire come la Corte abbia valutato le perizie.
Un terzo punto è quello della dimensione mediatica, da cui è emerso un atteggiamento di indignazione per l’assoluzione, che ha indotto il Ministro Bonafede a dichiarare che saranno inviati ispettori presso gli uffici giudiziari di Brescia. In risposta a questa attenzione mediatica il Tribunale di Brescia ha pubblicato una nota sulla decisione, che sembra dire una cosa diversa da quanto si legge sulla stampa, e cioè che il movente sia stato “una diversa ragione conflittuale di natura estemporanea”: sembra una risposta allo scandalo suscitato della decisione, che cerchi di rimediare e calmare le acque. La nota sostiene che, nel caso di specie i consulenti del PM e della difesa sono stati concordi nel ritenere che la patologia delirante (di cui era ed è portatore il prosciolto) escluda in radice la capacità d’intendere e volere con specifico riferimento al fatto commesso. Si sarebbe potuto approfondire seguendo le indicazioni del consulente di parte civile, ma non lo si è fatto, oppure chiamando a testimoniare il consulente del pm, così discutendo le sue conclusioni nel contraddittorio delle parti, ma non è stato chiamato. La nota prosegue sostenendo che il pm ha escluso che l’imputato fosse stato mosso da “motivi di gelosia”, ma piuttosto da “una differente ragione conflittuale di natura estemporanea”, e da questo fatto, conclude che è stato il pm stesso a escludere che si fosse in presenza di “una dinamica sottostante tipica di un processo di ‘femminicidio’”. La nota specifica che il “femminicidio” “non riguarda l’uccisione di una donna in sé e per sé considerata, ma ‘l’uccisione di una donna in quanto donna’”.
A partire da quest’ultima considerazione emerge un quarto punto di riflessione, che riguarda la necessità di un approfondimento sulle argomentazioni utilizzate dalla giurisprudenza nei casi di femminicidio, casi in cui così denso è l’intreccio tra stereotipi culturali e strumenti giuridici.
Infine, e questo è il punto che rimette in discussione tutti i precedenti, la messa in discussione della non imputabilità per le persone affette da patologia psichiatrica potrebbe dare a un caso simile una risposta più adeguata. Le letture che si possono dare, a normativa vigente, impongono, la scelta tra condannare, sottolineando la responsabilità della persona e stigmatizzando il crimine ma non considerando la patologia della persona, oppure assolvere e dare peso alla malattia e al bisogno di cura, ma lasciando inascoltato il bisogno sociale di avere certezza sul fatto ingiusto che è stato commesso. Se si abolisse la non imputabilità per le persone con patologia psichiatrica, considerandoli responsabili attraverso la condanna, ma poi curandoli perché ne hanno bisogno, potremmo ricomporre situazioni di questo tipo: indicando chiaramente alla società, tramite la condanna, che quel crimine è gravissimo, e lo è proprio perché nasce, anche, da un approccio patriarcale e gravando l’autore della responsabilità per il fatto commesso, ma nello stesso tempo offrendogli possibilità di cura effettiva, poiché chi arriva a tali gesti certamente bene non sta.
Può essere interessante discuterne subito prima della discussione sulla proposta per la modifica della non imputabilità, e potrebbero esserci tre punti da cui partire:
- stato dell’arte della giurisprudenza sul tema
- nel delirio di gelosia è comunque compreso un atteggiamento patriarcale
- importanza della riforma proposta della non imputabilità