Nell’aprile di quest’anno, la campagna Madri Fuori, dallo stigma e dal carcere, con i loro bambini e bambine ha mobilitato molte donne e associazioni in tutta Italia in difesa delle donne detenute madri: in gioco i loro diritti fondamentali e quelli dei loro figli e figlie.
Allora, mentre in Parlamento si discuteva su come lasciare definitivamente alle spalle lo scandalo dei bambini che crescono in carcere insieme alle madri, Fdl rilanciava una iniziativa legislativa finalizzata a togliere la responsabilità genitoriale a tutte le donne condannate in via definitiva.
Ci siamo opposte/i allora alla grave violazione dei diritti delle donne e dei bambini, contro una legge che avrebbe segnato molti passi indietro rispetto alle norme attuali, che consentono alle madri condannate forme di alternativa al carcere, una legge che avrebbe punito tutte in modo indiscriminato, e sarebbe ricaduta con maggiore sofferenza sui più piccoli.
La campagna ha portato all’attenzione pubblica il tema della maternità in carcere, ha concorso a chiarire i termini ideologici, securitari e punitivi della proposta di FdI, il cui iter è parso al momento fermarsi. Ci siamo dette, però, che un compito importante della campagna Madri fuori sarebbe stato quello di monitorare l’iter di quella proposta di legge, e di altre eventuali iniziative contro le donne detenute.
Ciò che puntualmente sta accadendo. La guerra contro le donne detenute madri continua.
Il “pacchetto sicurezza” del governo Meloni, un condensato di nuovi reati, nuovi aggravi di pena e securitarismo autoritario, torna sulla maternità: il diritto, per le madri di vivere fuori dalla cella, accedendo a forme alternative o al differimento della pena, se in gravidanza o con bambini e bambine fino a un anno di età, diventa una eccezione selettiva e restrittiva.
Nella formulazione di questa nuova norma il criterio di esclusione è il “pericolo di commissione di ulteriori delitti”, cioè di recidiva. I media l’hanno già battezzata legge anti-borseggiatrici, del resto gli esponenti del governo non hanno fatto certo mistero della finalità: colpire le donne Rom. E in effetti la norma ripropone tutti i peggiori stereotipi di stampo razzista.
Ma non è solo questo: la recidiva, per la gran parte delle donne detenute, non riguarda certo i crimini gravi, ma al contrario i reati minori, a cominciare da quelli contro il patrimonio. Sono le donne Rom, certo, ma sono anche le donne povere e le donne che usano droghe. La norma, dunque, non solo è razzista ma classista: va a colpire le donne che nella popolazione carceraria sono le più fragili e le più escluse.
Ci mobilitiamo e ci opponiamo contro questa norma che umilia e punisce le donne e che colpisce i più piccoli. Ci mobilitiamo e ci opponiamo contro tutto il “pacchetto sicurezza”, soprattutto laddove attacca, mortifica e lede con nuovi reati e nuove pene, i diritti di chi è detenuto/a.
[Articolo di Grazia Zuffa e Susanna Ronconi pubblicato su l’Unità del 21 novembre 2023]