Questa mattina ho assistito alla udienza della Corte Costituzionale con emozione, perché si discuteva di una delicata questione di diritto della persona che interessa il mondo della detenzione, uomini e donne e le famiglie, mariti, mogli, compagne e compagni che subiscono una orrenda limitazione degli affetti e delle relazioni intime.
Il relatore, il giudice Massimo Petitti, ha illustrato con estrema precisione il ricorso presentato dal magistrato di sorveglianza di Spoleto, Fabio Gianfilippi per denunciare l’incostituzionalità delle norme che di fatto vietano l’esercizio di un diritto fondamentale che già la Corte Costituzionale nel 2012 aveva definito come esigenza reale e fortemente avvertita, lanciando un invito al Parlamento per legiferare. Questi undici anni sono trascorsi inutilmente e il monito della Corte è rimasto inascoltato, nonostante le proposte di legge presentate alla Camera e al senato, anche da parte dei Consigli regionali della Toscana e del Lazio.
Qualcosa è cambiato però nel mondo e in Europa solo l’Italia non ha una legge che garantisca un nocciolo significativo della persona come gli Stati generali dell’esecuzione penale avevano definito la questione. Le pronunce del Consiglio d’Europa e del Parlamento europeo sono chiare ed esplicite.
Daniela Palma e Alessio Mazzocchi, della difesa del detenuto di Terni che ha dato origine al nuovo caso, hanno illustrato le ragioni per un accoglimento del ricorso, citando l’importanza dell’Appello promosso dalla Società della Ragione, dal CRS e dalla Associazione Coscioni intitolato “Il corpo recluso e il diritto all’intimità”, redatto dal prof. Andrea Pugiotto e sottoscritto da più di duecento tra giuristi, avvocati, esponenti dei movimenti per i diritti.
Vi era molta curiosità per l’intervento dell’Avvocatura dello Stato. Massimo Giannuzzi non si è limitato a chiedere una decisione di inammissibilità a causa di un insostituibile intervento legislativo, quasi come una clausola di stile, ma ha voluto affermare la fondatezza dei principi sostenuti nel ricorso e ha lamentato l’inerzia del Parlamento. Addirittura ha espresso il dispiacere per la richiesta di inammissibilità, affidandosi comunque alla saggezza della Corte per individuare una alternativa tra quelle suggerite nell’Appello.
Questo intervento ha suscitato emozione per il coraggio civile.
Due note finali. E’ stata sottolineata l’importanza della norma (art. 19) dell’Ordinamento penitenziario minorile che può costituire la norma applicabile anche alla detenzione degli adulti. Per una ragione, negli Istituti penali per minori in realtà sono presenti anche soggetti fino a 25 anni di età, quindi sarebbe paradossale che godano di un diritto e nel momento di trasferimento in un carcere per adulti lo perdano.
La Corte aveva chiesto che il Ministero della Giustizia e il Dap fornisse indicazioni sulla disponibilità di locali idonei per l’esercizio del diritto a colloqui senza controllo visivo. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria non ha risposto al quesito, ma ha parlato d’altro, cioè della costruzione di otto padiglioni per ampliare la capienza di altrettante carceri, finanziati con i fondi del PNRR che vedranno la luce nel 2026. Una magra figura motivata forse dalla volontà di dichiararsi impreparati a una novità straordinaria. In realtà le ricerche che sono state compiute in questi anni da associazioni e dalla Fondazione Michelucci dimostrano che è facilissimo ricavare quegli spazi già oggi nelle carceri italiane.
Già venticinque anni fa Il direttore del Dap, Michele Coiro, chiese a tutte le direzioni di fornire un quadro delle possibili soluzioni. Quella documentazione è ancora disponibile.
ll ministero della Giustizia ha compiuto un inaccettabile sgarbo istituzionale alla Corte costituzionale censurando elementi che consentirebbero una immediata sperimentazione e una rapida messa a regime del cambiamento delle relazioni familiari.
Franco Corleone