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Il 12 febbraio arriva davanti alla Corte costituzionale la legge Fini-Giovanardi per molte eccezioni di costituzionalità che sono state sollevate nei mesi e nelle settimane scorse dai giudici di merito e finanche dalla Corte di Cassazione. Martedì 21 gennaio, a Roma (Sala Colonne, via Poli, ore 9,30), nel convegno promosso da La Società della Ragione sulla «Fini-Giovanardi a giudizio» saranno approfondite le motivazioni che hanno portato la attuale legge antidroga davanti alla Corte.
Intollerabile fu l’arroganza con cui il Governo Berlusconi, nel 2006, al termine di una legislatura in cui non era stato capace di trasformare in legge un disegno volto ad aggravare il trattamento sanzionatorio penale dei consumatori di droghe, impose al Parlamento di approvarne i contenuti più detestabili attraverso un maxi-emendamento a un decreto-legge motivato dall’imminente svolgimento delle Olimpiadi invernali a Torino. Galeotta fu l’eterogeneità del decreto, che già disciplinava il diavolo e l’acqua santa: misure di sicurezza per le Olimpiadi e norme di favore per i tossicodipendenti recidivi, appena colpiti oltre misura dalla invereconda legge Cirielli. Eh già: nella foga della legge e dell’ordine, il Parlamento aveva infatti escluso anche i tossicodipendenti con programmi terapeutici in corso dalla sospensione della pena, causando non pochi problemi operativi. Bisognava mettere una pezza, e il decreto-legge per le Olimpiadi sarà parso al Governo un buon treno cui agganciare il vagoncino con la carota per i tossicodipendenti recidivi. Chissà se nella testa del legislatore d’emergenza fosse già chiara l’intenzione di far crescere quel vagoncino a dismisura, fino a comprendere l’intero disegno di legge governativo cui Fini e Giovanardi avevano dato il nome? Certo è che così andò e il Parlamento non ne poté neanche discutere, sotto il ricatto della fiducia sia al Senato che alla Camera.
Quel che ne è venuto, è sotto gli occhi di tutti: un enorme rigonfiamento delle galere, in massima parte causato dalla legge sulle droghe.
Meritoriamente la commissione giustizia della camera, su iniziativa di Daniele Farina e Sandro Gozi, ha iniziato a discutere della riforma di quelle norme punitive e criminogene, e si affacciano nuove proposte per la depenalizzazione del consumo e della coltivazione a uso personale della cannabis. Seppur timidamente, il governo ha già fatto la sua parte, inserendo nel decreto-legge in corso di conversione la distinzione dei fatti di lieve entità dalle previsioni relative al traffico di sostanze stupefacenti.
A questo punto, la decisione della Corte costituzionale potrebbe sancire un’inversione di rotta nella politica sulle droghe. La legge Fini-Giovanardi è certamente incostituzionale per i vizi nel procedimento di conversione del decreto-legge che l’ha portata ad approvazione. Vizi non dissimili da quelli che hanno indotto il Quirinale a chiedere al Governo di lasciar decadere il decreto «salva-Roma» e a sollecitare un più attento esame dell’ammissibilità degli emendamenti ai decreti, legittimi solo se inerenti la materia disciplinata dal decreto e vincolati a quella necessità e urgenza che ne ha giustificato l’adozione. Così non fu al tempo delle Fini-Giovanardi, impropriamente agganciata a una norma di segno opposto a quelle in essa contenute: mentre il decreto faceva salve alcune peculiari condizioni di non punibilità dei tossicodipendenti, il maxi-emendamento governativo ne faceva strame, destinandoli massicciamente al carcere.
Col rinvio alla Corte Costituzionale, quell’abuso di potere che sin dall’inizio è stato denunciato e contestato nella sua approvazione ha trovato finalmente il suo giudice naturale.
Intollerabile fu l’arroganza con cui il Governo Berlusconi, nel 2006, al termine di una legislatura in cui non era stato capace di trasformare in legge un disegno volto ad aggravare il trattamento sanzionatorio penale dei consumatori di droghe, impose al Parlamento di approvarne i contenuti più detestabili attraverso un maxi-emendamento a un decreto-legge motivato dall’imminente svolgimento delle Olimpiadi invernali a Torino. Galeotta fu l’eterogeneità del decreto, che già disciplinava il diavolo e l’acqua santa: misure di sicurezza per le Olimpiadi e norme di favore per i tossicodipendenti recidivi, appena colpiti oltre misura dalla invereconda legge Cirielli. Eh già: nella foga della legge e dell’ordine, il Parlamento aveva infatti escluso anche i tossicodipendenti con programmi terapeutici in corso dalla sospensione della pena, causando non pochi problemi operativi. Bisognava mettere una pezza, e il decreto-legge per le Olimpiadi sarà parso al Governo un buon treno cui agganciare il vagoncino con la carota per i tossicodipendenti recidivi. Chissà se nella testa del legislatore d’emergenza fosse già chiara l’intenzione di far crescere quel vagoncino a dismisura, fino a comprendere l’intero disegno di legge governativo cui Fini e Giovanardi avevano dato il nome? Certo è che così andò e il Parlamento non ne poté neanche discutere, sotto il ricatto della fiducia sia al Senato che alla Camera.
Quel che ne è venuto, è sotto gli occhi di tutti: un enorme rigonfiamento delle galere, in massima parte causato dalla legge sulle droghe.
Meritoriamente la commissione giustizia della camera, su iniziativa di Daniele Farina e Sandro Gozi, ha iniziato a discutere della riforma di quelle norme punitive e criminogene, e si affacciano nuove proposte per la depenalizzazione del consumo e della coltivazione a uso personale della cannabis. Seppur timidamente, il governo ha già fatto la sua parte, inserendo nel decreto-legge in corso di conversione la distinzione dei fatti di lieve entità dalle previsioni relative al traffico di sostanze stupefacenti.
A questo punto, la decisione della Corte costituzionale potrebbe sancire un’inversione di rotta nella politica sulle droghe. La legge Fini-Giovanardi è certamente incostituzionale per i vizi nel procedimento di conversione del decreto-legge che l’ha portata ad approvazione. Vizi non dissimili da quelli che hanno indotto il Quirinale a chiedere al Governo di lasciar decadere il decreto «salva-Roma» e a sollecitare un più attento esame dell’ammissibilità degli emendamenti ai decreti, legittimi solo se inerenti la materia disciplinata dal decreto e vincolati a quella necessità e urgenza che ne ha giustificato l’adozione. Così non fu al tempo delle Fini-Giovanardi, impropriamente agganciata a una norma di segno opposto a quelle in essa contenute: mentre il decreto faceva salve alcune peculiari condizioni di non punibilità dei tossicodipendenti, il maxi-emendamento governativo ne faceva strame, destinandoli massicciamente al carcere.
Col rinvio alla Corte Costituzionale, quell’abuso di potere che sin dall’inizio è stato denunciato e contestato nella sua approvazione ha trovato finalmente il suo giudice naturale.