Il 5 dicembre si è svolta la attesissima udienza della Corte Costituzionale dedicata alla questione del diritto delle detenute e dei detenuti a poter usufruire colloqui senza controllo visivo. Questa possibilità interessa il mondo della detenzione, uomini e donne e le famiglie, mariti, mogli, compagne e compagni che subiscono una orrenda limitazione degli affetti e delle relazioni intime.
Il confronto tra il relatore, la difesa e l’avvocatura dello Stato è stato assai approfondito. Purtroppo vi è stata una nota preoccupante, in quanto il Ministero della Giustizia ha provocatoriamente segnalato alla Corte Costituzionale un documento sulla colpevole assenza nei progetti di otto nuovi padiglioni in altrettante carceri di spazi per l’affettività.
La Corte aveva chiesto che il Ministero della Giustizia fornisse indicazioni sulla disponibilità di locali idonei per l’esercizio del diritto a colloqui senza controllo visivo.
Il Gabinetto del Ministro ha parlato d’altro, cioè della costruzione di otto padiglioni per ampliare la capienza di otto carceri, finanziati con i fondi del PNRR che vedranno la luce nel 2026. Non ha citato la ricerca effettuata pochi mesi fa dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sulla possibilità di spazi adeguati nei 189 Istituti penitenziari e sui costi per i necessari adeguamenti.
Una magra figura motivata forse dalla volontà di dichiararsi impreparati a una novità straordinaria. In realtà le ricerche che sono state compiute in questi anni da varie associazioni dimostrano che è facilissimo ricavare quegli spazi già oggi nelle carceri italiane.
Già venticinque anni fa, il direttore del Dap, Michele Coiro, chiese a tutte le direzioni di fornire un quadro delle possibili soluzioni. Quella documentazione è ancora disponibile. Nel 2021 il Garante dei diritti dei detenuti della Regione Toscana, Giuseppe Fanfani, con la collaborazione della Fondazione Michelucci ha elaborato una ricerca sulle possibilità di individuare spazi per l’affettività nelle carceri toscane.
Anche nel carcere di Udine in cui è in corso una importante ristrutturazione per aumentare spazi per socialità e attività trattamentali è previsto uno spazio per incontri che garantiscano la riservatezza e l’intimità.
Il ministero della Giustizia ha compiuto un inaccettabile sgarbo istituzionale alla Corte Costituzionale censurando elementi che dimostrano che sarebbe realizzabile una immediata sperimentazione e una rapida messa a regime del cambiamento delle relazioni familiari. Il fatto è ancora più grave se lo scopo della informativa fosse quello di condizionare la scelta della Corte Costituzionale sulla base della impossibilità di applicazione del diritto costituzionale atteso da troppi anni.
Il relatore, il giudice Massimo Petitti, ha illustrato con estrema precisione il ricorso presentato dal magistrato di sorveglianza di Spoleto, Fabio Gianfilippi per denunciare l’incostituzionalità delle norme che di fatto vietano l’esercizio di un diritto fondamentale che già la Corte Costituzionale nel 2012 aveva definito come esigenza reale e fortemente avvertita, lanciando un invito al Parlamento per legiferare.
Questi undici anni sono trascorsi inutilmente e il monito della Corte è rimasto inascoltato, nonostante le proposte di legge presentate alla Camera e al Senato, anche da parte dei Consigli regionali della Toscana e del Lazio. Qualcosa è cambiato però nel mondo e in Europa solo l’Italia non ha una legge che garantisca un nocciolo significativo della persona, come gli Stati generali dell’esecuzione penale avevano definito la questione.
Le pronunce del Consiglio d’Europa e del Parlamento europeo sono chiare ed esplicite. Daniela Palma e Alessio Mazzocchi, della difesa del detenuto di Terni che ha dato origine al nuovo caso, hanno illustrato le ragioni per un accoglimento del ricorso, citando l’importanza dell’Appello promosso dalla Società della Ragione, dal CRS e dalla Associazione Coscioni intitolato “Il corpo recluso e il diritto all’intimità”, redatto dal prof. Andrea Pugiotto e sottoscritto da più di duecento tra giuristi, avvocati, esponenti dei movimenti per i diritti.
Vi era molta curiosità per l’intervento dell’Avvocatura dello Stato. Massimo Giannuzzi non si è limitato a chiedere una decisione di inammissibilità a causa di un insostituibile intervento legislativo, quasi come una clausola di stile, ma ha voluto affermare la fondatezza dei principi sostenuti nel ricorso e ha lamentato l’inerzia del Parlamento.
Addirittura ha espresso il dispiacere per la richiesta di inammissibilità, affidandosi comunque alla saggezza della Corte per individuare una alternativa tra quelle suggerite nell’Appello. Questo intervento ha suscitato emozione per il suo coraggio civile.
Una nota finale. È stata sottolineata l’importanza della norma (art. 19) dell’Ordinamento penitenziario minorile che può costituire la norma applicabile anche alla detenzione degli adulti.
Per una evidente ragione, infatti negli Istituti penali per minori sono presenti anche soggetti fino a 25 anni di età, quindi sarebbe paradossale che godano di un diritto e nel momento di trasferimento in un carcere per adulti lo perdano. È diffusa la fiducia che la Corte Costituzionale non si limiti ancora a una sollecitazione al Parlamento ma determini una soluzione.
[Articolo di Franco Corleone pubblicato su l’Unità del 7 dicembre 2023]