MISURE DI SICUREZZA PER SOGGETTI CONDANNATI.
UNA RIFORMA NORMATIVA E UN PROGETTO DI REINSERIMENTO SOCIALE
Ricerca-azione sulle case di lavoro de La società della Ragione, finanziata dalla Chiesa Evangelica Valdese, con i contributi del bando 8×1000 – anno 2021. La ricerca è stata condotta da Giulia Melani e Grazia Zuffa, con la collaborazione di Franco Corleone, Katia Poneti, Lisa Roncone e Leonardo Fiorentini.
Contesto
Il nostro sistema penale prevede, oltre alle pene, le misure di sicurezza: un retaggio delle costruzioni positivistiche e lombrosiane, a cui sono destinate le persone che sono ritenute socialmente pericolose.
La dottrina penalistica italiana del secondo dopoguerra ha spesso ritenuto questo istituto come in contrasto con i principi costituzionali, in particolare, con la funzione rieducativa della pena. Le misure di sicurezza per imputabili, infatti, si aggiungono alla pena detentiva già espiata e ne rappresentano una mera continuazione, di durata non predeterminata ed eseguita in luoghi del tutto analoghi al carcere.
Nonostante le critiche di lunghissima data, le misure di sicurezza dell’assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa lavoro, introdotte dal codice Rocco, permangono.
Le case lavoro, colonie agricole, o sezioni destinate a casa lavoro in istituti di pena sono otto sull’intero territorio nazionale: Vasto (82), Castelfranco Emilia (52), Aversa (42), Tolmezzo (4), Biella (53), Isili (21), Barcellona Pozzo di Gotto (40) e la “Giudecca” di Venezia. Tra questi istituti soltanto la “Giudecca” è femminile con 5 presenze e va segnalato che a Tolmezzo le presenze riguardano detenuti al 41bis. Secondo gli ultimi dati del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, relativi all’anno 2020, le persone internate in queste strutture erano 321, in totale.
Le ricerche sulla colonia agricola e sulla casa lavoro sono esigue e la revisione della misura di sicurezza detentiva per imputabili non è centrale nell’agenda politica.
Dalle poche ricerche sul tema e dai pochi dati disponibili si evince che la popolazione che è sottoposta a questa misura è la più marginale, con bassa scolarizzazione e senza riferimenti sul territorio. Le stesse esigue ricerche evidenziano anche come le case lavoro siano strutture con caratteristiche analoghe ai penitenziari.
Obiettivi
Avviare un processo di trasformazione delle misure di sicurezza detentive per imputabili, volto ad eliminarne gli aspetti più afflittivi e renderle vocate al reinserimento sociale e non all’esclusione, attraverso la produzione e diffusione di una ricerca che evidenzi le qualità delle strutture e le tipologie di attività e la costruzione di protocolli e progetti efficaci di reinserimento sociale.
Il progetto
Le misure di sicurezza detentive per imputabili impongono una riflessione sul senso del mantenimento di una duplicazione sanzionatoria per i soggetti etichettati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, in un sistema costituzionale che pone al centro la persona e stabilisce come fine della pena la rieducazione del condannato. Il numero di persone sottoposte alle misure di sicurezza detentive rende queste ultime una parte marginale del sistema punitivo. Ciò non esime dall’interrogarsi su chi finisca per rientrare nelle etichette coniate dall’antropologia positivista, soprattutto a fronte della crisi del concetto di pericolosità sociale. Appare essenziale centrare l’indagine non solo e non tanto sui principi generali e sull’architettura normativa in astratto, quanto sulla concreta applicazione, per comprendere se vi siano numerose ipotesi di “ergastolo bianco” (persone cui viene continuamente prorogata la misura di sicurezza, anche a fronte della commissione di fatti reato di minima gravità), se la casa lavoro si distingua per struttura, regole, modalità trattamentali da un istituto di pena e se vi siano progetti di reinserimento adeguati ed efficaci che consentono una fuoriuscita dalle strutture. Il progetto si propone di sviluppare una ricerca presso i sette istituti nazionali, articolata su tre linee direttrici.
1. Quanti «ergastoli bianchi» in casa lavoro?
Le misure di sicurezza sono applicate sul presupposto della sussistenza e persistenza di pericolosità sociale e non proporzionalmente alla gravità del fatto commesso. La prima parte della ricerca si propone di ricostruire – attraverso lo spoglio dei fascicoli cartacei degli internati presenti presso ciascuno degli istituti nel periodo di svolgimento della ricerca– la storia detentiva di ciascun internato, centrando l’attenzione sui reati commessi, la durata della pena espiata, la durata della misura di sicurezza ed il numero di proroghe. Inoltre, si procederà a verificare se esistano e quanti siano i casi di “porte girevoli”, ovvero i casi in cui, la persona sia rientrata in casa lavoro a seguito della violazione delle prescrizioni della misura di sicurezza non detentiva della libertà vigilata.
2. Chi sono i socialmente pericolosi?
Giuridicamente, la persona socialmente pericolosa è quella che «è probabile commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati». L’aleatorietà di questo tipo di giudizio predittivo è stata spesso rilevata da molte voci critiche. Il soggetto pericoloso socialmente potrebbe essere nient’altro che la persona con varie forme di disagio sociale, che manca di una rete familiare di supporto e/o di servizi pubblici che la prendano in carico. In questo caso, la casa lavoro – istituzione penale – finirebbe per supplire a carenze dei servizi di welfare e la misura di sicurezza potrebbe essere l’ingiusta reclusione che riproduce differenze sociali. Ci si propone di capire – attraverso l’esame dei dati contenuti nei fascicoli cartacei degli internati presenti in ciascuno degli istituti – quanti siano i casi di persone: diagnosticate affette da un disturbo psichico, accertate tossicodipendenti, mancanti di una rete familiare e sociale di supporto, con storie lavorative e professionali segnate da discontinuità e lunghi periodi di disoccupazione, con basso capitale culturale, o disagio abitativo.
3. La casa lavoro è un carcere?
Le misure di sicurezza sono state spesso definite «truffa delle etichette»: misure con minori garanzie ma del tutto analoghe alla pena detentiva. La giustificazione dell’esistenza della duplicazione di risposte sanzionatorie alla commissione del fatto reato dovrebbe essere l’effettiva differenziazione tra pene e misure di sicurezza. Attraverso visite negli istituti ed interviste al personale dell’area trattamentale condurremo un esame atto a comprendere se sussistano differenze nelle caratteristiche strutturali, nel regime detentivo, nelle opportunità educative, formative, trattamentali offerte. Considerata la centralità che il lavoro dovrebbe ricoprire nella misura di sicurezza che incorpora il lavoro nel nome (casa di lavoro), ci concentreremo sull’analisi delle opportunità lavorative.
Obiettivi generali:
1) La sentenza della Corte Costituzione 83/2017 ha ribadito il limite di durata massima per tutte le misure detentive. La ricerca intende indagare su quali disposizioni viene calcolato tale limite e gli effetti di tali interpretazioni sul percorso della persona;
2) Avvio di un tavolo di confronto con Magistratura di Sorveglianza, CSM, Regioni, Volontariato, DAP, in modo da garantire che le Case Lavoro siano tali e non sezioni carcerarie. Obiettivo è quello di avviare un processo di regionalizzazione, chiudere le sezioni e assicurarsi che venga rispettato il limite di durata massima.
3) Elaborazione di due proposte normative, una di abolizione, l’altra di riforma della misura di sicurezza.
4) Avvio di reti territoriali di collaborazione, si procederà all’elaborazione di progetti sui vari territori che favoriscano la fuoriuscita delle persone già internate.
5) Stampa e diffusione degli esiti della ricerca e promozione di un ciclo di incontri sul tema con specialisti ed operatori del settore.
Azioni:
a) Ricerca desk: i) analisi della durata delle misure di sicurezza e della gravità dei fatti commessi; ii) analisi delle caratteristiche della popolazione internata in un determinato arco temporale; iii) analisi della durata delle misure di sicurezza e della gravità dei fatti commessi.
b) Ricerca azione: i) Esame delle caratteristiche delle strutture e delle opzioni trattamentali e lavorative offerte, attraverso visite nelle strutture ed interviste al personale, ai soggetti internati e alla direzione delle carceri; ii) Costruzione di una rete con le realtà del terzo settore che si occupano di reinserimento dei detenuti; iii) Elaborazione progetti territoriali di fuoriuscita dalle strutture;
c) Disseminazione: i) Diffusione dell’elaborato conclusivo; ii) Cicli di incontri
Progetto sostenuto con i fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese