L’Italia riceve dalla Corte Europea dei Diritti Umani (Cedu) una condanna per il trattamento inflitto a due minori, costretti alle visite col padre (denunciato per violenza domestica) senza adeguata protezione; e inflitto alla madre, addirittura privata della potestà genitoriale per tre anni dal tribunale di Roma e dalla Corte d’Appello perché, a giudizio dei giudici, avrebbe avuto un comportamento ostile agli incontri col padre e “all’esercizio della co-genitorialità”. Da notare, ed è ciò che la Cedu lamenta, che i giudici che hanno sospeso la potestà genitoriale della madre non hanno tenuto conto delle difficoltà negli incontri e della mancata protezione nei confronti dei bambini, segnalata da diversi operatori. Nonostante la donna avesse denunciato il marito e fosse stata costretta a rifugiarsi in un centro antiviolenza, il tribunale di Roma aveva autorizzato gli incontri dei bambini col padre richiedendo condizioni di rigorosa protezione. Ma la sicurezza non è mai stata garantita e la madre aveva ripetutamente protestato per questo. Non solo i giudici non hanno tenuto conto della mancata protezione nei fatti dei bambini, costringendoli a incontri in condizioni inadatte (e con ciò venendo meno “al loro superiore interesse”); in più, con la sottrazione della potestà genitoriale alla madre, hanno paradossalmente penalizzato l’unica persona che, di fronte all’inerzia delle autorità competenti, si è battuta nell’interesse della sicurezza dei bambini. Incredibilmente, l’attenzione verso i figli le si è ritorta contro quale “non collaborazione” al diritto alla genitorialità del coniuge.
La vicenda lascia sgomenti: si tocca con mano quanto le madri vittime di violenza in famiglia siano ulteriormente vittimizzate dalle istituzioni, da un lato perché scarsamente difese dal coniuge maltrattante (si noti che il tribunale aveva ordinato che gli incontri si tenessero nella casa di accoglienza, svelando così il luogo di residenza che avrebbe dovuto rimanere segreto); dall’altro perché sottoposte a giudizio di “capacità materna” sulla base di pregiudizi sessisti, che traspaiono attraverso malintesi concetti quali il “diritto alla bigenitorialità”, insieme a psico-costrutti di assoluta inconsistenza scientifica quali la sindrome di “alienazione parentale” o “della madre malevola”. In nome di un astratto “diritto a essere genitore”, i giudici hanno ignorato la concreta relazione che il padre stabiliva coi figli, segnata dalla violenza nei confronti della madre, con l’inevitabile peso di trauma e paura. Quanto alla madre, è stata punita non per eventuali inadempienze nella cura dei bambini, ma per “mancato rispetto” del “diritto” del padre. Infine, ma non certo per importanza, va segnalata la vittimizzazione dei minori, come dimostra questo caso e purtroppo molti altri simili. Anzi, i figli e le figlie sono le vittime più indifese perché ridotte al silenzio. Spesso non sono ascoltati, ma anche quando lo sono, la loro volontà, i loro affetti, le loro paure, le loro reticenze nei confronti del padre vengono stravolti e negati perché attribuiti a condotte alienanti e manipolatorie delle loro madri. Sulla base di questa presunzione di patologico “plagio” materno, non altrimenti verificato se non per assunto ideologico, la soggettività dei minori è calpestata e i bambini e le bambine sono spesso sottoposti a provvedimenti coercitivi- perfino con la forza- di allontanamento dalla casa della madre dove hanno vissuto e dall’insieme delle relazioni che hanno intrattenuto fino al momento.
La sentenza CEDU è di grande importanza per allertare l’attenzione pubblica su queste pratiche discriminatorie e autoritarie, che rimangono ancora nell’ombra nonostante le denunce di molte associazioni. Ne discuteremo a Firenze, venerdì 25 novembre, alle ore 17 in presenza nella sede della Società della Ragione e online. https://www.societadellaragione.it/campagne/minori/lallontanamento-forzato-dei-minori-e-la-punizione-delle-madri-malevole/
Fonte: la rubrica di Fuoriluogo su il manifesto del 23 novembre 2022