Era già accaduto, è successo di nuovo; lo scorso 2 giugno, a corredo dell’ordinanza di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale, emessa in data 11 maggio 2020 (l’udienza non è ancora stata calendarizzata) con la quale il Gip di Tivoli ha lamentato l’incompetenza del Ministro della Giustizia in relazione all’esecuzione della misura di sicurezza provvisoria del ricovero in Rems per supposta violazione degli artt.2,3,25,27,32 e 110 Cost, su Questione Giustizia era stato pubblicato un breve articolo di Marco Patarnello, magistrato di sorveglianza a Roma.
Lo scorso 4 febbraio, sempre per “buone intenzioni” (questo il tratto distintivo dei due interventi), una nuova riflessione, di Giuseppe Nicolò[1], medico psichiatra, Direttore DSMDP ASL Roma 5, che esordisce rilevando come “negli ultimi mesi, dopo un lungo silenzio, si è ravvivato il dibattito sulle REMS, o meglio sulla riforma della esecuzione delle misure di sicurezza”.
Effettivamente, distratti come siamo da questioni più ampiamente dibattute, il tema che qui ci occupa risulta relegato nelle retrovie, dopo che il tentativo di riforma operato dalla Commissione ministeriale Pelissero[2] non ha avuto (sul punto) buon esito, per mancato esercizio della delega.
Accanto a quelle appena citate, di cui si dirà qui a breve, altre riflessioni hanno fortunatamente animato il dibattito[3]; senza nascondere le difficoltà che la materia propone, si è proceduto in quei casi ad indicare coordinate di marcia più coerenti con la riforma introdotta dalla L.n.81/2014, diversamente tacciata quale “disciplina ideologica”….per superare la quale “la Corte Costituzionale sembra l’unica strada”[4].
Non è questa la sede per commentare l’incidente di costituzionalità promosso dal giudice laziale[5]; interessa piuttosto evidenziare alcune aporie interpretative degli Autori dei commenti pubblicati da Questione Giustizia, che muovendo da prospettive ed esperienze professionali diverse pongono l’accento su aspetti che trascurano totalmente la ragion d’essere della riforma, evidentemente debitori di una visione che ancora stenta a liberarsi dei retaggi del passato.
“Se un soggetto seriamente psichiatrico e socialmente così pericoloso da giustificare una misura di sicurezza detentiva non raggiunge la collocazione idonea nei tempi necessari, qualcosa accade”, osserva il magistrato, che tuttavia sembra decisamente più sensibile alla tutela della sicurezza pubblica che alla cura (e alla libertà) del singolo. Prendendo le mosse dalla prospettiva del Dott. Patarnello, non possiamo esimerci da una prima osservazione, se si vuole banale: lo stesso Autore ricorda il caso[6] di un provvedimento adottato dalla Corte EDU ai sensi dell’art.39 del Regolamento, per il mantenimento in carcere senza titolo di una persona destinataria di misura di sicurezza (non eseguita), ma oggi sono molti di più i soggetti illegittimamente detenuti. Dunque, e la distonia è evidente, la perdurante illegalità della privazione della libertà personale sine titulo non pare godere della stessa attenzione della (supposta) illegittimità costituzionale della disciplina vigente.
Questa la premessa da cui muove il magistrato romano, che ritiene che l’estromissione del Ministro dalla possibilità di governo dell’esecuzione delle misure di sicurezza e di gestione delle strutture metta a repentaglio anche “la sicurezza sia di chi si trova ricoverato sia di chi vi opera”.
Appare evidente l’auspicio (qualcosa di più, se si legge che “l’interprete non ha avuto neppure la possibilità, o la capacità? – almeno di imporre il ricovero, pur nel superamento del limite numerico”): superare il limite massimo, superare il principio di territorialità, superare la gestione sanitaria esclusiva delle Rems. Che poi l’intervento della Corte Costituzionale possa “imprimere alla disciplina una curvatura che potrebbe apparire restrittiva di diritti, se non propriamente securitaria”, appare il dubbio di un momento, giacché al giudice appare maggiormente rispettosa di una “tutela effettiva dei diritti” la soluzione auspicata dal Gip di Tivoli.
Insomma: de lege ferenda, strame della legge.
Quanto al Dott. Nicolò, Questi osserva che “il Magistrato ha il compito di tutelare la società dal pericolo”; si tratta, all’evidenza, di una pericolosa e fuorviante prospettiva ermeneutica dei ruoli assegnati al Giudice (un Gip, nel caso di specie), chè altri sono i ruoli conferitigli dall’Ordinamento, non certo quelli salvifici, e dunque non ci si iscrive, da parte di chi scrive, tra tutti quelli “in attesa fiduciosa della Corte Costituzionale” (alla quale, incidentalmente, non è dato comprendere quale sia l’intervento manipolativo richiesto). Lo psichiatra stigmatizza “la peculiarità italiana della psichiatria”, che si ritiene “possa diventare essa stessa un problema”, atteso che “in quasi tutto il mondo civile il trattamento di questi soggetti avviene in ambito carcerario, in sistemi umanizzati ma con un sistema di regole assertivo e coerente”. Assertivo, scrive proprio così; quanto alla coerenza, non si comprende il parametro di riferimento, ma si intende che è tutto intramoenia. Concorde con Patarnello sulle ipocrisie, silenzi e trascuratezze di una disciplina ideologica alla base della riforma, si dubita anche “che l’impostazione data dalla legge 81/14 sia corretta da un punto di vista scientifico”.
Ancora: si osserva che il modello attuale “presenta evidenti problemi: innanzitutto la sicurezza”. L’antica ossessione, senza che si rifletta sul perché le misure di sicurezza (soprattutto provvisorie) vengano dispensate “un tanto al chilo”, anche per reati bagatellari (come nel caso di Tivoli, nel quale l’imputato diceva al Sindaco “te meno perché se te do ‘na pizza il primario dove stavo m’ha detto che c’ho ragione” e poi “tentava di aggredirlo nel suo ufficio per poi lanciargli contro un cartoccio di vino senza colpirlo”- questo il capo di imputazione).
Ma il nostro psichiatra censura anche altri aspetti: “la ridotta capienza delle strutture al massimo a 20 posti”, a ciò aggiungendo che le differenti patologie dei pazienti e il loro diverso livello di pericolosità siano foriere di ulteriori problemi. Che poi i contenitori si riempiano, che il flusso sia alimentato, come già rilevato, da poco attente decisioni dei giudici, che l’Uomo non si risolva mai nel suo reato e nella sua malattia, tutto ciò non si dice. Si dice invece, con gran confusione, che i disturbi di personalità siano la causa dell’overcrowding, perfino disegnando un’improbabile liaison tra “lo spaccio di stupefacenti (internazionale!), o il taglieggiamento, o la rapina” e la patologia di cui alla sentenza delle SSUU Raso, senza che nessuno mai abbia confuso “la gravità del reato con la gravità del disturbo, e quindi con la necessità di trattamento in REMS”. Ma tant’è.
Non stupisce, ma allarma, che sia proprio un medico a sostenere che occorrerebbe “una definizione chiara del paziente da inviare in REMS”, quasi fosse un prodotto da mettere sullo scaffale del negozio, “un’implementazione dei posti letto forensi” (resta oscuro a cosa si riferisca l’aggettivo), “la creazione di una struttura sovranazionale per quei pochi, ma comunque presenti, pazienti che presentano livelli elevatissimi di pericolosità non gestibili nelle attuali REMS, che hanno standard di media/bassa sicurezza”. Un 41 bis dei matti, par di capire!
Ma ancora non basta, chè di recente abbiamo letto[7] che “una coazione è benigna ogniqualvolta è necessaria (e la pena e la imposizione di una cura possono esserlo)”, giacché “porre un limite è un dovere sociale ed essere limitati nella corsa verso l’abisso è un diritto civile”.
Grande è la confusione sotto il cielo, ma non siamo certi che ciò favorisca un’istanza di progresso, se non proprio rivoluzionaria: se si confonde il limite col Diritto (alla cura, alla pena), se si stigmatizza come superficiale e ideologico l’assunto basagliano (la Libertà è terapeutica), che non nega la follia, ma le restituisce il senso di una vita altrimenti degna di essere vissuta, qualcosa ancora non va, e necessita di manutenzione democratica. Il Diritto è certamente limite (soprattutto al potere del Leviatano), ma anche spinta al cambiamento.
Non si conosce un fatto, senza metterne a nudo l’interno, ossia la persona, l’autore di quel comportamento; l’Uomo, insomma.
Intanto, un gruppo di matti, sulle montagne carniche, ha dato vita a un progetto di riforma[8] che si è già messo in cammino. In direzione ostinata e contraria, controvento, senza paura.
Una questione di Giustizia.
Michele Passione
Note
[1] G. Nicolò, Rems, oltre le buone intenzioni, no al ritorno al passato e problema di legittimità costituzionale. Quindi quale futuro?, in www.questionegiustizia.it, 4 febbraio 2021
[2] In www.dirittopenalecontemporaneo.it 9 febbraio 2018
[3] P. Pellegrini, Il superamento degli OPG e le REMS. Oltre le buone intenzioni, in Sossanità, 7 giugno 2020; A. Calcaterra, Misura di sicurezza con ricovero in REMS: il ritorno al passato no!, in Diritto Penale e Uomo 12 giugno 2020,
[4] M. Patarnello, Le Rems: uscire dall’inferno solo con le buone intenzioni, in www.questionegiustizia.it, 2 giugno 2020
[5] Sia consentito il rinvio alle brevi note di M. Passione e F. Corleone, La subdola nostalgia del manicomio giudiziario, in Il Manifesto – Fuoriluogo, 24 giugno 2020
[6] Cfr. G. Andreoli, Allarme Rems, mancano i posti: più di 70 malati mentali in carcere a rischio suicidio, in Il Riformista, 16 gennaio 2021; E. Zamparutti, 63 pazienti psichiatrici chiusi in cella abusivamente, in Il Riformista, 29 gennaio 2021
[7] G. Brandi, Il reo, il folle e i diritti, in www.oralegalenews.it, 13 gennaio 2021
[8] Folli rei: cancellare il codice Rocco contro le insidie neo-manicomiali, in www.societadellaragione.it, 2 febbraio 2021