Venerdì 8 febbraio è stato presentato a Firenze da la Società della Ragione il report conclusivo del progetto pilota di empowerment per donne detenute “Women In Transition – WIT” promosso dall’associazione col sostegno dell’otto per mille della Chiesa Valdese. Sono intervenuti Sofia Ciuffoletti (Altro Diritto), Antonio Fullone (Provveditore Amministrazione Penitenziaria di Toscana e Umbria) e Letizia Sommani (Chiesa Valdese). Erano presenti le curatrici del progetto: Serena Franchi, Liz O’Neill, Susanna Ronconi, Grazia Zuffa.
Sotto la registrazione video dell’incontro pubblico a cura di Radio Radicale vi presentiamo l’abstract del rapporto conclusivo, mentre in fondo trovare la documentazione scaricabile. Per maggiori informazioni sul progetto: www.societadellaragione.it/wit
Donne in transizione
Il Progetto WIT – Women In Transition, promosso da La Società della Ragione Onlus col sostegno del progetto otto per mille della Chiesa Evangelica Valdese, si colloca in continuità con una ricerca fra le donne detenute condotta nel 2013 dalla stessa Società della Ragione. Quella ricerca centrava sulla differenza femminile, come osservatorio per leggere la realtà del carcere e proporre azioni di trasformazione (valide per donne e per uomini).
Focalizzare la differenza femminile significa innanzitutto non fermarsi alla rappresentazione unilaterale della debolezza/fragilità femminile, ma vedere anche l’aspetto della forza, ossia delle risorse che la soggettività femminile è in grado di mettere in campo.
Da qui ha preso spunto il progetto di ricerca-azione WIT, con una parte di ricerca qualitativa, svolta fra le donne detenute, in approfondimento degli esiti dello studio del 2013; e con interventi pilota di “laboratori” di self empowerment, rivolti alle donne detenute degli istituti di Firenze-Sollicciano e Pisa-Don Bosco. I laboratori sono consistiti in sei incontri con le donne (in ognuno dei due istituti), cui è seguito un ulteriore incontro di restituzione del percorso, documentato nell’opuscolo “Il tesoro nascosto”. Inoltre, si è voluto indagare (tramite interviste in profondità e focus group) anche il punto di vista degli operatori del carcere di vario tipo e formazione, professionali e volontari. Il “doppio sguardo”, delle donne e degli operatori, ha avuto lo scopo di illuminare la risposta ambientale, del contesto carcerario, al self empowerment: approfondendo come il carcere sia in grado di sostenere (o al contrario contrasti) il lavoro su di sé intrapreso dalle donne.
Sono stati così individuati alcuni dispositivi che si oppongono al movimento empowering e rimarcano la soggezione della persona, percepiti dalle donne come inutile afflizione “aggiuntiva” alla privazione della libertà (e dunque avvertita come lesiva della dignità della persona). Si tratta in primis del meccanismo di minorazione/infantilizzazione, conseguente alla dipendenza totale per qualsiasi aspetto della vita quotidiana, e alla difficoltà da parte della detenuta di decifrare il funzionamento della complessa rete di operatori che gestiscono la vita della persona, con un aggravio del senso d’impotenza. Le strategie di “fronteggiamento” della carcerazione sono inoltre ostacolate dalla deprivazione affettiva e relazionale rispetto ai legami famigliari, genitoriali, di coppia e amicali. Il patrimonio di esperienza storica femminile nel campo delle relazioni, che potrebbe giocare un ruolo importante facendo leva sui legami fuori ma anche dentro il carcere, fra le detenute stesse, non è valorizzato. Non si è ancora affermata una cultura dei diritti, collegata a un nuovo paradigma risocializzante e responsabilizzante. Gioca inoltre a sfavore il fenomeno delle “dispari opportunità” di offerta formativa e di lavoro nei reparti femminili.
La buona accoglienza da parte delle donne detenute dei laboratori di self empowerment induce non solo ad auspicare di poter ripetere l’esperienza in altri istituti; ma anche a lavorare perché il nuovo approccio permei le pratiche quotidiane nel carcere, in una prospettiva di empowerment ambientale. Si può perciò avanzare una proposta rivolta alle istituzioni giudiziarie e penitenziarie, ma anche alla Regione e agli Enti Locali: promuovere occasioni formative “trasversali”(con operatori di diversa funzione) su un nuovo modello di carcere “risocializzante e responsabilizzante” e sui percorsi di empowerment, individuale e ambientale, prendendo spunto dai risultati di questo progetto.