Intervento formativo alle relazioni positive
Contesto
L’esistenza di un buon clima relazionale dentro le mura (fra detenuti/detenute e operatori penitenziari di diversa posizione), così come il mantenimento delle relazioni fra detenuti/e e familiari e altre figure significative sono elementi spesso sottovalutati, sia nella valenza di “umanizzazione” del carcere e di supporto al reinserimento sociale; sia nell’impatto positivo sul benessere psicofisico della persona. Trascurare la dimensione relazionale è in contrasto con le indicazioni della OMS (2007), che identifica nella rete di relazioni di supporto il principale fattore di tenuta psicologica della persona detenuta, per sostenerla nel rispetto/fiducia in sé stessa e nella fiducia nel futuro oltre la carcerazione. Perciò, l’attenzione alla dimensione affettiva/relazionale della persona ha anche una valenza di prevenzione del rischio di eventi suicidari e di autolesionismo, in chiave di costruzione di un contesto di supporto. In una accezione comprensiva della relazionalità, sono da considerare con attenzione tutte le proposte per ampliare le occasioni di relazioni affettive del detenuto/a, comprese le relazioni affettive intime con coniugi e partner.
Obiettivi
- Accrescere la consapevolezza degli operatori a vari livelli circa il ruolo dei fattori ambientali/relazionali nella tutela dei diritti umani della popolazione detenuta e nel raggiungimento del miglior benessere possibile di tutti gli attori nel carcere (detenuti e operatori, volontari).
- Accrescere la capacità degli operatori di prestare attenzione alla dinamica relazionale dentro il carcere, allo sviluppo delle relazioni dei detenuti coi familiari e figure significative, alle condizioni che facilitano/ostacolano questo sviluppo, agli eventi critici nel tessuto relazionale delle persone.
- Accrescere la consapevolezza degli operatori (e della comunità esterna) circa l’importanza dei fattori ambientali/relazionali rispetto allo specifico obiettivo di prevenzione di eventi suicidari e di autolesionismo (superando il consueto approccio clinico individuale, unicamente centrato sugli screening psicologici/ psichiatrici per la selezione degli individui a rischio)
- Costruire un modello di formazione “trasversale”, mettendo in comunicazione i punti di vista (necessariamente differenti) degli operatori dell’area sicurezza, degli operatori dell’area educativa/trattamentale, degli operatori volontari .
Azioni
Il progetto, finanziato dalla Fondazione CR Firenze, e realizzato in collaborazione con LABcom prevede un intervento formativo che coinvolga operatori a vario titolo degli istituti di Firenze Sollicciano, Gozzini, istituto minorile.
L’intervento è rivolto a circa 40 operatori (di area sicurezza, di area trattamentale, del volontariato). La costruzione del gruppo misto di lavoro sarà il primo step dell’intervento formativo, al fine di focalizzare/confrontare/approfondire/armonizzare i differenti punti di vista.
E’previsto il monitoraggio dell’intervento e la valutazione.
E’ previsto un momento di confronto con la comunità e le istituzioni locali, di sensibilizzazione sull’importanza delle relazioni positive in carcere.
Risultati attesi
- Una maggiore consapevolezza fra i vari attori – della giustizia, del carcere, della comunità territoriale – in merito all’importanza del mantenimento per i detenuti di relazioni positive (compresa la possibilità di mantenere relazioni affettive intime col coniuge/partner) quale fattore protettivo rispetto al fenomeno dei suicidi e dell’autolesionismo.
- Una maggiore consapevolezza fra i vari attori suddetti circa l’opportunità di adottare in carcere un modello comprensivo di tutela della salute mentale e di prevenzione degli eventi critici (suicidi e autolesionismo), attento a individuare e ad agire sugli elementi di contesto ambientale e relazionale- sia di rischio sia protettivi, superando l’attuale modalità operativa focalizzata unicamente sui deficit individuali di salute psichica dei detenuti/e (che in genere si esplica attraverso un’azione di screening psicologici/psichiatrici per catalogare – e spesso isolare- i soggetti a rischio).
- Una maggiore attitudine dei vari operatori del carcere a lavorare in maniera integrata e non separata, rafforzando la comunicazione e lo scambio fra diverse professionalità e col volontariato.
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